Una fogliata di libri

Morte di un trapper

Andrea Frateff-Gianni

La recensione del libro di Giovanni Robertini edito da HarperCollins (224 pp., 17 euro)

Un ragazzo di ventidue anni viene trovato morto davanti a un McDonald’s vicino al centro città. Le cause sono ancora ignote. Si parla di overdose: arresto cardiaco per un un mix letale di alcol e droga. Le parole d’ordine come sempre in questi casi sono: disagio giovanile, periferia e baby gang, emergenza immigrazione, rap, drill e paginoni sui giornali, che riportano opinioni di psicologi e sociologi che raccontano la solita storia di una generazione persa, l’ennesima, senza valori. Un sito di quelli creati apposta per acchiappare click titola “Morte di un trapper”, anche se la vittima non ha mai fatto musica in vita sua.

Inizia così l’ultimo romanzo di Giovanni Robertini edito da Harper Collins e intitolato, appunto, Morte di un trapper, un noir contemporaneo ambientato a Milano nel mondo del rap all’interno del quale una ex rapstar in disarmo con una grossa X tatuata sul collo le Jordan ai piedi e il cappuccio calato sulla testa si trasformerà in un’improbabile investigatrice che proverà a vederci chiaro in questa storia che fin dall’inizio risulterà avere molti tasselli fuori posto. Chi è dunque il ragazzo trovato morto? Quello che tutti chiamano Aelle ma che all’anagrafe fa Aliseo Landini Della Santa e proviene da una delle famiglie più in vista della città “con intrallazzi nel mondo della politica, della finanza e dell’arte”. Al centro della scena Milano, con i festini negli attici dei grattacieli di City Life e i casermoni popolari delle periferie, i tavoli nei club esclusivi e le rapine con i taglierini per accaparrarsi l’ultimo paio di sneakers alla moda, tra studi di registrazione, gang violente al soldo di delinquenti insospettabili e vetrine di marchi di lusso spaccate nelle vie dello shopping. Robertini per raccontare questa storia sceglie di avere lo sguardo di un quarantenne depresso, fallito, ex semifamoso, che passa le giornate fumando erba ed entrando e uscendo dallo studio del suo psicologo, “perché non si ricorda nemmeno più le parole delle sue canzoni”. Tutt’intorno le citazioni dell’Odio di Kassovitz, dei vecchi pezzi dei Club Dogo come di quelli di Dj Gruff impreziosiscono l’affresco, maledettamente credibile, narrato in 45 velocissimi capitoli che somigliano alle tracce di un disco, di un mondo, quello della vituperatissima “scena rap”, che negli ultimi anni da nicchia si è ritrovato  a essere sempre più centrale. Ma in questi casi si sa, come recitava quella filastrocca, “il problema non è la caduta, ma l’atterraggio”.

 

Giovanni Robertini 
Morte di un trapper
HarperCollins, 224 pp., 17 euro

Di più su questi argomenti: