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una fogliata di libri

Gadda e Calvino monumenti della letteratura? Anche no

Matteo Marchesini

Nel 2023 la nostra letteratura celebra gli anniversari ingombranti di due figure che sono state sottoposte a un processo di monumentalizzazione francamente eccessivo

Nel 2023 la nostra letteratura celebra due anniversari ingombranti: cent’anni dalla nascita di Calvino, e mezzo secolo dalla morte di Gadda. Nel canone tardonovecentesco che ha ormai acquisito una lugubre fissità scolastica, divenendo un dato mitologico anziché critico, entrambe le figure sono state sottoposte a un processo di monumentalizzazione francamente eccessivo.

 

Il fatto si spiega in molti modi: ad esempio osservando che la loro identità stilistica, la loro Weltanschauung, e perfino il loro umorismo un po’ angusto, risultano agevolmente addomesticabili sia dalla didattica sia dai pubblicisti in cerca di vistosi emblemi. La complicazione cavillosa di Gadda e la cavillosa semplificazione di Calvino, lo gliommero dell’uno e le reti dell’altro, appaiono speculari. Ma anche le vere e proprie somiglianze sono parecchie. Entrambi gli scrittori sembrano affetti da una “fobia del contatto”. Si dicono narratori ma fuggono dal racconto, oscillando tra il tentativo di geometrizzare e il delirio descrittivo; cercano, insomma, di fermare il tempo in un frame depurato dall’affanno della vita.

 

Tutti e due si rivelano uomini d’ordine traumatizzati dal caos: che Calvino riconduce a un ordine superiormente igienico, e che Gadda prova invano a domare catalogandone gli infiniti fenomeni bizzarri, ovvero approdando a una sistematica incompiutezza. Sia l’autore del “Pasticciaccio” che quello di “Palomar” inseguono poi la precisione con l’aiuto dei linguaggi tecnici. Se lo scrittore non è uno scienziato, pensano, deve però essere abbastanza aggiornato da non riuscire generico o inesatto. “Uno xilografo che rappresenti una locomotiva, non la disegnerà certo chiodo per chiodo, quale è consegnata nelle tre proiezioni ortogonali dentro l'archivio dell'ufficio tecnico (…) Non potrà però munire quella trionfante macchina di ruote quadrate. / Ora, quel che accade talvolta a chi troppo ometta di documentarsi circa la perizia espressiva raggiunta dalle singole tecniche, è appunto questo malanno del fare i circoli troppo quadrati” scrive l’Ingegnere nel 1929.

 

E nel ’65, nel noto articolo sull’“antilingua”, Calvino ripropone la stessa esigenza, ma stando attento a distinguerla dalla tendenza burocratica del boom. Per farlo, inventa un brigadiere che traduce una testimonianza schietta (“Stamattina presto andavo in cantina ad accendere la stufa e ho trovato tutti quei fiaschi di vino dietro la cassa del carbone”) nel famigerato gergo ministeriale (“Il sottoscritto essendosi recato nelle prime ore antimeridiane nei locali dello scantinato per eseguire l'avviamento dell'impianto termico, dichiara d'essere casualmente incorso nel rinvenimento di un quantitativo di prodotti vinicoli, situati in posizione retrostante al recipiente adibito al contenimento del combustibile”). 

 

Poi però, siccome a differenza di Pasolini non considera la deriva buro-tecnocratica una fatalità, e siccome a differenza di noi non l’ha vista estendersi capillarmente (si pensi agli odierni cascami psichiatrico-giudiziari del tipo di “narcisista” o “attenzionato”), Calvino afferma che l’evoluzione dell’italiano rende altrettanto possibile la “conquista di nuove categorie lessicali”, cioè di uno stile, magari attraverso la diffusione di termini già adoperati quotidianamente da chi svolge determinati mestieri. Tuttavia, dietro l’abito di concretezza, anche lui e l’Ingegnere coltivano come i burocrati un certo “terrore semantico”: Gadda si dilunga in perifrasi esornative per non nominare le cose; e Calvino rimuove forzatamente gli argomenti troppo vischiosi, mostrando così, seppure in forme più socievoli, un’analoga ansia di controllo. Nel 1965 il brigadiere era un suo personaggio, mentre oggi è lui a essere un personaggio raccontato o studiato dal brigadiere, nel frattempo divenuto professore; e lo stesso vale per Gadda. Che i due scrittori se la siano un po’ meritata, questa fortuna beffarda?

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