Everest. Una storia lunga 100 anni

Giorgia Mecca

La recensione del libro di Stefano Ardito, Laterza, 288 pp., 20 euro

Perché c’è. Così risponde George Mallory nel 1923 a chi gli chiede come mai desidera arrivare in cima all’Everest. E’ partita cento anni fa la prima spedizione verso il Big E, scoperto nel 1856 da un matematico indiano che un giorno di agosto andò dal suo capo e gridò: “Sir, ho trovato la montagna più alta del mondo”. Era alta 8.839,80 metri. Il romanzo di Stefano Ardito, Everest. Una storia luna cento anni, racconta un secolo di tentativi e di fallimenti, corpi mai recuperati, resti lasciati da spedizioni andate male, crocifissi, valanghe, sherpa, un vento “che ruggisce come mille tigri”, e poi finalmente la conquista, nella primavera del 1953, e la frase: abbiamo smontato il bastardo. L’Everest rimane intoccabile per poco tempo, nel 1878 Clinton Dent, sentenzia: “Non penso nemmeno per un attimo che sia saggio tentare l’ascensione, ma credo fermamente che questa impresa sia umanamente possibile”. E’ l’inizio della corsa verso gli ottomila e oltre, e ha a che fare con Ulisse, l’ambizione umana, il desiderio di arrivare per primi e ovunque, nel punto più alto che esista, ma anche con questioni politiche, di lotta per il potere. I primi esploratori partono nel maggio del 1921, sotto gli occhi increduli di Ngawang Tenzin Rinpoche, il lama più importante del monastero di Rongbuk, in Tibet, che scriverà: “Ho provato grande compassione per loro, che soffrono per un lavoro così inutile”. Chissà se aveva ragione il religioso, l’Everest non è altro che “una nuda, ghiacciata pianura di roccia e ghiaccio, dove il vento urla senza fermarsi un minuto”, come scrive Tenzing, un monte simile alla cattedrale di Winchester dopo una nevicata. Il libro racconta l’Everest dalle origini a oggi: l’impresa di Reinhold Messner e Peter Habeler che, l’8 maggio del 1978 cambiano un’altra volta la storia dell’alpinismo, salendo sul tetto del mondo senza bombole, usando soltanto il poco ossigeno presente nell’atmosfera; le prime donne in cima, la Guerra fredda che arriva anche oltre gli ottomila, con Unione sovietica e Stati Uniti che, proprio come nello spazio, si giocano in alta quota la lotta per la supremazia: (per celebrare la vittoria sull’Everest, il capo spedizione cinese disse che era tutto merito della leadership del partito comunista e del pensiero di Mao). Non c’è una risposta precisa alla domanda chi glielo fa fare, o forse Ardito risponde a ogni pagina. Le parole più belle sono quelle di Messner: “Nella prima spedizione avevo conosciuto l’inferno, nella seconda, in solitaria, ho scoperto il paradiso”. 

 

Everest. Una storia lunga 100 anni
Stefano Ardito
Laterza, 288 pp., 20 euro

Di più su questi argomenti: