Un uomo in fiamme

Simonetta Sciandivasci

Il libro di Marco Cubeddu, Giunti, 324 pp., 17 euro

Roberto Franzini è di Sampierdarena, struggente sanguigno quartierone (e in certi punti quartieraccio) genovese, vive in una casa cantoniera malandata, ha un padre eroe in pensione, un fratello morto eroe per sempre, un carattere malmostoso, un’indole buona. Fa il pompiere e lo fa borbottando da genovese, sbraitando da ministeriale, bevendo da portuale, tenendo il destino (e pure il tabacco Old Holborn blu) in mezzo ai denti come un marinaio. E’ un “eroe riluttante, in bilico tra autocommiserazione e autocompiacimento”, un ex “bambino di quelli tutt’ossa perennemente assorti” e i suoi colleghi gli vogliono piuttosto bene, specie Soletta, Braga e Anija, rispettivamente amico gay, capo complice, collega di cui sono infatuati tutti, lui compreso. Nella caserma di Busalla, dove la storia ha inizio, non succedono troppe cose, i pompieri salvano molti gattini che però capita li graffino in faccia e li trasformino così in uomini con l’aspetto di pirati, o ex combattenti di guerre pericolosissime, quasi revenant. Poi il centro Italia trema e tutto cambia, e la storia che Marco Cubeddu aveva in mente di raccontare diventa chiara, migliore, e soprattutto prende a camminare su due piani. Da una parte ci sono i pompieri, la vita della caserma, Sampierdarena – “la pozzanghera in cui sono cresciuto” – e i non protagonisti che gravitano attorno a tutto questo e che sono sempre, come anche negli altri romanzi di Cubeddu, infragiliti dall’odio che hanno per il tempo in cui vivono, dal romanticismo pigro della Liguria, tutti animali morenti fieri della propria resistenza, pure se è fallimentare, o forse proprio per questo. Dall’altra parte c’è Franzini, ammalato di macaia e per questo irresistibile, scorretto ma in fondo desideroso di correzione, il non eroe perfetto per romanzare la frase d’apertura. Questa: “Davanti al pericolo siamo quello che siamo”. Il coraggio non è soltanto una virtù per eroi epici: può anche essere una reazione involontaria, un istinto per il quale non esiste esercitazione, allenamento, studio, educazione, condizionamento ambientale. Può essere qualcosa di molto semplice, come la sussistenza, o umano troppo umano, come la vanità. Oppure, ancora, è tutte queste cose insieme, e nessuna ha minimamente a che fare con la rinuncia a sé, con l’obbligo di fare ciò che si deve e non ciò che si vuole, l’ideale massimo degli eroi, e forse la ragione per cui gli antieroi ci sono sempre piaciuti parecchio di più, e hanno salvato vite anche loro, e altrettante ne hanno ispirate. Scrive Cubeddu che “L’idea di poter salvare un bambino ha una potenza che altera il senso del limite; l’impulso a fare qualsiasi cosa per lui è così istintivo che l’idea si salda con il senso di onnipotenza insito in ogni forma d’altruismo, il che porta a un’abnegazione maniacale”. E soprattutto che “Il pericolo ti mette davanti a chi sei e a chi vuoi essere”.

 

Chi non è in fiamme deve buttarsi nel fuoco, e chi è in fiamme ne deve uscire. Questo libro parla di quelli che nell’incendio, a un certo punto, ci passano per restare, perché hanno capito che è il pericolo è una condizione, non una congiuntura. E s’affronta con la pazienza, non per forza con il coraggio.

  


 

Marco Cubeddu
Un uomo in fiamme
Giunti, 324 pp., 17 euro

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