"Luca Rastello (1961-2015) quella luce la conosceva, l'aveva vista perfino in Bosnia e lottava perché non fosse soffocata"

Essere uomini capaci di credere nella realtà

Marco Archetti

Un ricordo di Luca Rastello dopo l'uscita del suo libro postumo 

L’anno 2018 è stato importante per i lettori e gli estimatori di Luca Rastello per almeno due ragioni: ha compiuto vent’anni il suo primo libro “La guerra in casa” (Einaudi) ed è uscito il suo postumo “Dopodomani non ci sarà” (Chiarelettere). Chiunque ami più di me i segni, i simboli o le corrispondenze, si spenderebbe liricamente su questo cerchio chiuso, su questo compimento, su questa allusiva esattezza delle traiettorie esistenziali, e ne ricaverebbe chissà quale specchietto, chissà quale allodola, chissà quale trasumanante corsivo. Ma avendo un grande rispetto di Rastello e del lavoro che ha portato avanti, sono convinto che gli farei un torto inaccettabile se mi mettessi a spillare il suo vino per mescere litri di retorica nei vostri bicchieri, e a ogni riga sarei torturato dalla consapevolezza che lui, la retorica, foss’anche a millilitri, la odiava con tutte le forze, penultime e ultime.

 

Quindi volerò a quota-pagina, senza negare che una profonda relazione tra questi due libri esista eccome (seppur non stabilita da ragioni di similarità stilistica: il primo è affilato e lavorato in ogni minimo intarsio descrittivo, l’ultimo è un’opera in corso d’opera, disparata e proteiforme) ma rimarcando che a unirli sia una questione di metodo, aspetto troppo poco sottolineato e riguardante sia lo scrittore, sia l’uomo privato che lui era. Luca Rastello era non solo un uomo capace di amare la vita, ma un uomo capace di credere nella realtà. Cioè un uomo in grado di amare sì un principio fondamentale, un valore assoluto e stabile, ma soprattutto quella volubile trascrizione quotidiana, zoppicante, in difetto e terribilmente deludente della vita.

 

Amare la vita è importantissimo – anzi, ammetto, stavo per scrivere “obbligatorio” – ma credere nella realtà significa saper fare anche di più, un coraggio sfacciato: quello di confidare nell’uomo e nelle cose, nel loro farsi e disfarsi in tutta la loro imprevedibile sconsideratezza, facendosi carico della disuguale e smisurata paginata che è la nostra esperienza individuale e collettiva, credendoci per quella che è – sgrammaticata, difforme, con troppi soggetti e pochi verbi (quanti soggetti credono di poter fare a meno di un verbo, non li vedete, non li vediamo?), zeppa di anacoluti e inciampi, parti stupide e noiose ed errori clamorosi perfino nell’andata a capo, piena di descrizioni parziali e paragrafi insensati, scorrettezze varie e grossolanità eventuali.

 

Eppure, all’improvviso, insensata come la poesia, in tanta irriformabile imperfezione, in tale caos fuori da ogni grammatica, ecco che questa paginata di obbrobri ci sa stupire e butta lì una frase eccelsa, perfetta, la dipinge e ci regala un memorabile trasalimento luminoso, un volo d’oro, uno spiraglio essenziale, una luce immane tra le fessure, e Rastello quella luce degli uomini la conosceva, l’aveva vista perfino in Bosnia e lottava perché non fosse soffocata. “La guerra in casa” raccontò la guerra dei Balcani con la precisione e l’amore che erano mancati a quasi tutti e “Dopodomani non ci sarà” è lo specchio di un uomo nudo come pochi, che crede nella realtà anche nel decorso di una malattia che sa mortale.

Questo libro è lo scudo di Achille di Rastello, e dentro c’è la vita, il tentativo di trattenerla, raccontarla e comprenderla, facendosi forte e debole di Ionesco quando dice: “O voi tutti, legioni e legioni che siete morti prima di me, aiutatemi. Ditemi come avete fatto a morire, insegnatemelo…” Perché in quella paginata della Storia e dell’Umanità, se c’è un dialogo sempre impossibile, è proprio quello con la morte. Spesso mi chiedo: avrà ragione Epicuro a dire che è inutile temerla perché quando c’è lei non ci siamo noi e quando ci siamo noi non c’è lei? Ma se Epicuro si sbagliasse? Se invece ci fosse quel terribile momento in cui noi e lei ci si sovrapporrà, in cui le passeremo quell’immateriale testimone della vita? Cosa diventa, la morte, se la guardo negli occhi?

 

“Dopodomani non ci sarà” è un libro che negli occhi guarda la vita, perché parla sempre di vita. E siccome è lo scudo di Achille, è potere del canto, è tentativo – riuscito – di moltiplicarla proprio quando sta per venir meno. “Cosa significa essere un malato?” Rastello tenta di rispondere, ha sempre tentato di rispondere, anche a costo di sbagliare le domande. Era un cavaliere impavido, un padre capace di dire alla figlia di non soffrire perché la sofferenza in sé non vale e non garantisce niente. “Meglio la tua allegria del cuore, il mondo ha bisogno di quella”.

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