recensioni foglianti

The Evidence of Things Not Seen

Federico Morganti

Vernon L. Smith
Acton Institute, 67 pp., 5,95 dollari

Il rapporto tra scienza e religione, il presunto conflitto tra mondi non sempre in grado di parlarsi, è tra i problemi più spinosi della modernità. Solo qualche secolo fa, pochi intellettuali avrebbero preso in considerazione l’idea che il corso della natura potesse svolgersi altrimenti che secondo una legalità ordinata da Dio. Ma l’inarrestabile progresso della conoscenza ha reso popolare la convinzione che la natura possa reggersi in qualche modo da sé. Oggi, la voce degli scienziati che hanno saputo far coesistere la propria professione con la credenza religiosa è, per qualche ragione, meno udibile. Chi invece – da Galilei a Stephen J. Gould – ha suggerito, nel nobile sforzo di disinnescare il conflitto, che religione e scienza occupino magisteri separati ha lasciato irrisolto il problema di come intendere la compatibilità tra le due.
Si potrebbe dire che il rapporto tra scienza e religione è questione né scientifica né religiosa. Riguarda il rapporto di ciascuno con il creato; non solo gli specialisti, ma chiunque abbia a cuore la comprensione del mondo e del proprio posto in esso. Vernon Smith, premio Nobel per l’Economia nel 2002, parla in questo saggio “unicamente in quanto individuo in cerca di risposte personali ad antichi quesiti dell’umanità”. Di fede cristiana, è dell’avviso che la credenza religiosa e la pratica scientifica siano accomunate dalla ricerca di ciò che è invisibile. “Nella scienza non si osserva nulla direttamente”. Particelle, onde ed energia – la cui natura impalpabile stride con il credo materialista – sono postulate sulla base degli “effetti secondari implicati dai modelli concettuali”. Nel postulare l’inosservabile, la scienza deve ammettere la propria dipendenza dalla fede.
Una posizione che si apre a un’obiezione. Nell’assimilare la fede nell’invisibile delle religioni alle postulazioni della scienza si rischia di perdere l’unicità della prima. Tralasciamo il fatto che la “fede” scientifica poggi su metodi diversi e segua i propri criteri di revisione, ancorché imperfetti. Più importante ancora è che la fede religiosa, in quanto vissuto del soggetto, sia un’esperienza essenzialmente diversa. Nelle parole di John Polkinghorne: “Credo nei quark, ma riconoscerne l’esistenza non scuote il mio stesso essere. Ciò è molto diverso dalla fede in Dio, che ha implicazioni su tutto ciò che faccio e tutto ciò in cui spero”. La scienza non rimuove, né mai rimuoverà, il mistero del creato. Forse ha persino l’effetto contrario. Definire il rapporto tra scienza e religione è impresa complessa al punto da rendere tutti gli sforzi necessariamente imperfetti. A Smith e all’Acton Institute va l’indiscusso merito di contribuire con serietà e sofisticazione a un dibattito spesso preda di luoghi comuni e ideologie.

 

THE EVIDENCE OF THINGS NOT SEEN
Vernon L. Smith
Acton Institute, 67 pp., 5,95 dollari

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