(foto LaPresse)

Una Francia mascherata sì, una Francia velata no!

Banalizzare questa pratica, e abituarsi, è proprio ciò che dobbiamo temere, spiega la politologa e filosofa francese Bérénice Levet. Scrive Valeurs Actuelles (17/5)

"Questa crisi sanitaria, e in particolare l’orizzonte che si profila per il periodo di postconfinamento, arreca danno a un tratto essenziale dell’arte di vivere alla francese: il netto rifiuto che opponiamo alla dissimulazione del volto” scrive Bérénice Levet. “La Repubblica si vive a volto scoperto”, dice la legge del 2010, ma non è “la” Repubblica in generale che si vive a volto scoperto – esistono regimi repubblicani che non legiferano su questo punto – è proprio la Repubblica francese, “alla francese”. L’orizzonte che si delinea per i mesi a venire è un mondo in cui ognuno sarà, se non costretto, quantomeno fortemente incoraggiato a indossare una mascherina, ossia ad uscire con il volto coperto per tre quarti, dal quale emergeranno solo gli occhi, ultima sede dell’espressività. Non vogliamo qui contestare la legittimità di questa prescrizione, ma nemmeno sottometterci a cuor leggero. In nome dei nostri costumi, in nome di Emmanuel Levinas e di ciò che ci ha insegnato sulla portata etica del volto scoperto, “esposizione” che è un rischio, ma che fa di ognuno un essere responsabile, in nome, infine, della lotta contro l’islamizzazione della Francia. E quest’ultimo motivo non ha nulla di chimerico. Alcuni, quelli per cui i costumi, queste leggi non scritte, questa giurisprudenza della vita in società, non dicono nulla dell’anima di un paese, considerano perfettamente accettabile, e addirittura se lo augurano, una Francia in cui l’utilizzo della mascherina diventerà tanto “normale e banale quanto indossare un maglione in inverno quando fa freddo”, secondo le parole del giornalista economico della striscia mattutina di France Inter Dominique Seux. Ma banalizzare questa pratica, e abituarsi, è proprio ciò che dobbiamo temere. Se ciò accadesse ci troveremo totalmente disarmati dinanzi all’utilizzo del velo nelle scuole, del burqa nello spazio pubblico, del burkini sulle spiagge e nelle piscine municipali. Certo, la mascherina non ha un significato religioso, e deve essere portata indistintamente dalle donne e dagli uomini, ma chi avrà ancora lo scrupolo di sbrogliare la matassa e di distinguere tra volto mascherato per motivi sanitari e volto mascherato per motivi religiosi? I fatti sono già davanti ai nostri occhi: da quando siamo incitati a fabbricarci da soli le nostre maschere, spuntano nelle strade di Parigi delle donne coperte dalla testa ai piedi avendo trovato il pretesto per farlo (…). Il niqab è vietato? Poco importa: una specie di mascherina di color nero carbone così come il resto del loro abito è innestata sul loro hijab ed eccole che deambulano avvolte in lenzuola funebri accanto al loro marito senza mascherina e in totale legalità (…). C’è una nuova esortazione progressista all’adattamento della Francia dei nuovi costumi che le sono estranei, e persino contrari, e una nuova messa in stato d’accusa del ritardo francese: quest’ultimo, come ci spiega sul Monde un antropologo del Cnrs, Fédéric Keck, sarebbe meno imputabile alla “penuria di mezzi dovuta ai tagli budgetari nella preparazione alle pandemie” che alle reticenze francesi a convertirsi a una pratica associata all’islam: ‘Uscire a volto scoperto è diventato ancor più restrittivo, e persino più oppressivo (…) quando il foulard islamico è stato vietato (…) nelle scuole e nei luoghi pubblici’.

 

Constatiamo che il nostro cosiddetto specialista non ha le idee chiare, perché confonde manifestamente la legge del 2004 con quella del 2010, dato che l’utilizzo del velo, a differenza del burqa, non è vietato nello spazio pubblico, ma solo negli uffici pubblici. Abbiamo capito che per il ricercatore uscire velato o mascherato è un atto di ribellione contro una civiltà – la nostra – tirannica! Questo antropologo non è isolato. Provate a emettere qualche riserva quanto all’introduzione nei costumi occidentali dell’utilizzo della mascherina e l’arma massiva di delegittimazione non tarda ad arrivare: siete colpevoli di islamofobia”. 

 

La traduzione è di Mauro Zanon

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