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Studenti e accademici si devono unire per sfidare la censura di Pechino

Il Partito comunista cinese controlla tutto ciò che viene detto nelle università americane. La necessità di un movimento dal basso

Un Foglio internazionale è curato da Giulio Meotti. Ogni lunedì, segnalazioni dalla stampa estera con punti di vista che nessun altro vi farà leggere


 

“Circa cinque volte all’anno la marina americana svolge un’operazione per tutelare la libertà di navigazione nel mare cinese del sud e contrastare le ambizioni territoriali della Cina nella regione”, scrive il docente di Princeton Rory Truex su Foreign Policy: “Così il governo americano ribadisce che le acque appartengono al territorio internazionale e le ambizioni cinesi sono illegittime. Gli americani stanno assistendo a una violazione ugualmente importante per l’interesse nazionale: quella della libertà di stampa. Il Partito comunista cinese sta cercando di controllare il modo in cui gli Stati Uniti e le democrazie occidentali parlano del proprio paese. Questa violazione necessita di una risposta – quella che potremmo chiamare un’operazione per tutelare la libertà di espressione. Le università americane possono essere l’avanguardia di questo movimento. Dovrebbero tenere delle conferenze sul destino di Taiwan, sulle proteste pro democrazia a Hong Kong, sulla repressione dei musulmani uiguri nello Xinjiang e altri temi sensibili per il governo cinese. Questi eventi possono essere organizzati dagli studenti, dai docenti o dai centri di ricerca. L’iniziativa non deve partire dall’amministrazione universitaria. Il messaggio dell’operazione è ancora più forte se viene dal basso. Il governo cinese spesso costringe le aziende e le istituzioni occidentali ad adeguarsi alla linea del partito. Di recente sono state coinvolte Gap, Cambridge University Press, le tre compagnie aeree americane più grandi, Marriott e Mercedes-Benz. La televisione di stato cinese Cctv ha cancellato la programmazione di una partita dell’Arsenal perché uno dei giocatori, Mesut Özil, ha criticato la repressione nello Xinjiang.

 

Il governo cinese usa dei metodi coercitivi per controllare ciò che viene detto nei campus americani e prende di mira gli atenei che invitano dei relatori sgraditi. Questo è precisamente ciò che è avvenuto nell’Università della California a San Diego, che ha invitato il Dalai Lama a tenere un discorso nel 2017. Il governo cinese, che considera il leader religioso del Tibet come una minaccia, ha vietato ai docenti cinesi di fare ricerca all’Università di San Diego usando i fondi statali. Ci sono prove che il governo di Pechino sta mobilitando gli studenti cinesi all’estero per protestare o sabotare alcuni eventi sgraditi. Questo avviene attraverso le associazioni di studenti cinesi che esistono in oltre 150 università e vengono finanziate dall’ambasciata cinese negli Stati Uniti.

  

Le operazioni per la libertà di stampa necessitano di una grande partecipazione. Gli atenei sono rimasti in silenzio quando il governo cinese ha punito l’Università di San Diego, di fatto invitando Pechino a usare le stesse tattiche in futuro contro altri atenei. Ma pensate se come risposta fossero stati organizzati decine di eventi sul Tibet o inviti al Dalai Lama. Il coordinamento è fondamentale. Un affronto a un’università americana dovrebbe essere visto come un affronto a tutte. A Princeton, dove insegno, abbiamo tenuto tre operazioni per la libertà di stampa nelle ultime settimane: la prima sullo Xinjiang, la seconda su Hong Kong e la terza di nuovo sullo Xinjiang. Questi eventi sono nati indipendentemente, e senza alcuna interferenza dall’amministrazione universitaria. Ho moderato un dibattito in cui tre cittadini di Hong Kong hanno parlato del movimento di protesta. Gli eventi sulla Cina solitamente attraggono circa una trentina di persone, ma l’ultimo dibattito ha avuto una grande partecipazione. Molti studenti originari sia dalla Cina che da Hong Kong si sono mobilitati.

  

Uno studente filo-cinese ha rivolto un gestaccio a un relatore che aveva parlato della violenza della polizia sui manifestanti. Alcuni membri del pubblico di origine cinese hanno parlato della loro esperienza personale. Un alunno ha chiesto se esistono prove della violenza della polizia. A volte ho avuto l’impressione che gli studenti fossero venuti al dibattito solo per diffondere la linea del Partito comunista cinese. Ma è stato utile ascoltare la loro versione dei fatti. Come ha notato Wilfred Chan, uno dei relatori, è importante che ci sia un dialogo tra le comunità cinesi e quelle di Hong Kong. Le università occidentali sono l’unico luogo in cui può avvenire questo scambio. Ogni azienda, governo locale e associazione civica può creare la propria operazione per la libertà di stampa. Immaginate se ogni giocatore della Nba parlasse della detenzione di massa dei musulmani nello Xinjiang durante la conferenza stampa, solo per un giorno. O se le chiese americane convincessero i pastori cinesi a fare dei sermoni sulla repressione della comunità cristiana in Cina. Ci sarà grande resistenza da parte della Cina, che vedrà queste iniziative come un affronto alla propria sovranità. Gli amministratori universitari potrebbero ricevere degli avvertimenti o delle minacce velate nel breve termine. Ma se le università rispondessero organizzando sempre più eventi, la coercizione della Cina verrebbe vanificata e il governo sarebbe costretto a fare un passo indietro.

  

Se da un lato è importante tutelare la libertà di stampa nelle università americane, non dobbiamo dimenticarci di salvaguardare i diritti degli studenti cinesi. Il sentimento anti cinese in America non è mai stato così dirompente, ci sono sempre più episodi di odio e discriminazione nei loro confronti. Le operazioni per la libertà di stampa dovrebbero incoraggiare il dialogo, non demonizzare gli studenti cinesi e il loro paese. Se fatte nel modo giusto, queste iniziative possono proteggere il territorio intellettuale americano e dimostrare il valore della nostra società aperta”.

 

(Traduzione di Gregorio Sorgi)

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