(sito della Fondazione Palazzo Magnani, Reggio Emilia)

Uffa!

"Ma qual è la linea?". Una mostra per ripercorrere la storia dei CCCP

Giampiero Mughini

Il punk rock della band emiliana: tutto della loro storia, del loro lavoro, dei loro happening, era stile, linguaggio, novità, provocazione, antifrasi per l’appunto

Beato chi abita non lontano dal centro storico di Reggio Emilia nei cui Chiostri di San Pietro rifulgerà sino a metà marzo questa scintillante mostra che onora uno dei gruppi rock più prestigiosi nella storia della recente musica italiana, I CCCP – Fedeli alla linea. Quel pirotecnico quartetto così profondamente innovatore e così profondamente emiliano che annoverava “la Benemerita Soubrette e l’artista del popolo / la chitarra grattugiata e l’urlato declamante / bestie da palcoscenico in vita vivente”. I magnifici quattro vengono presentati così all’avvio dell’altrettanto scintillante catalogo della mostra (FELICITAZIONI! CCCP – FEDELI ALLA LINEA 1984-2024, Edizioni interno4), che altro non è che un libro d’artista e che ho pagato al prezzo di un libro da collezione dato che la prima edizione ne è già andata esaurita.

Nel quarantennale dell’avvio del gruppo dei CCCP – Fedeli alla linea, a organizzare tanto la mostra che il catalogo sono stati i fondatori dell’impresa musicale che ci apprestiamo a raccontare. L’“urlato declamante”, ossia Giovanni Lindo Ferretti (nato nel 1953), l’autore della musica e dei testi, quello che passa come uno dei padri del punk italiano, ossia della grafia musicale che garantiva ai suoi autori il massimo di libertà espressiva. La “chitarra grattugiata” con la quale lui faceva tutt’uno la suonava Massimo Zamboni (nato nel 1957). La “soubrette” era il termine antifrastico che indicava Annarella Giudici, una giovane donna assieme avvincente e tenebrosa che sul palco eccome se c’era e si mostrava non senza valanghe di autoironia, e di cui un gentiluomo mai svelerebbe l’età attuale. Danilo Fatur (nato nel 1963) era un ballerino e cantante che doveva occupare la scena a modo suo, e dunque più provocatorio e sfacciato risultava meglio era. “Un solo grido: me ne frego!!!”, era la sua parola d’ordine.

Della mostra e relativo catalogo avevo saputo dall’esaltazione che ne aveva fatto – tanto da usarlo come tema della copertina – l’ultimo numero di Linus, l’opulenta rivista diretta da Igort, il raccontatore a fumetti che le ha tastate a puntino le bellezze sorte in questi ultimi anni lungo la via Emilia. A percorrere le 448 pagine del catalogo c’è di che restare a bocca aperta. Fossero i volantini che annunciavano i loro concerti o le copertine dei loro quattro album in studio o le foto che ritraevano i nostri quattro eroi in azione, tutto della loro storia, del loro lavoro, dei loro happening, era stile, linguaggio, novità, provocazione, antifrasi per l’appunto. A cominciare dalla denominazione della banda, un titolo che ricalcava la dizione in caratteri cirillici – SSSR – dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, e questo non perché loro fossero così accesamente filosovietici, così creduloni che da quelle parti ci fosse il paradiso in terra. Semplicemente si volevano “antiamericani”, o comunque avversi all’americanismo di facciata che stava pervadendo l’Occidente. Ma soprattutto si volevano non adatti a tutti i gusti, non facili da digerire per chi li ascoltasse. Ci tenevano ad assumere già dalla loro denominazione una postura non soltanto musicale che suonasse di sfida. Fedeli alla linea, la pensavano in materia  come i trogloditi di sinistra del tempo? “Ma qual è la linea?” cantava tutto al contrario Lindo Ferretti, e voleva dire che non c’era nessuna linea da seguire, c’era solo da vivere la vita con tutti i suoi tumulti, le sue contraddizioni, le sue domande cui non c’è risposta. “Quella nostra vita”, ha detto una volta Ferretti, “che è un insieme di sfide piuttosto notevoli”.

La voce di Ferretti e la chitarra di Zamboni avevano fatto un duo fin dal 1982, quando entrambi originari della provincia di Reggio Emilia se ne andarono a suonare dalle parti di Berlino avvalendosi per il resto di una macchina che percuotesse i tamburi, macchina che aveva sostituito Zeo Giudici, il batterista che inizialmente aveva suonato con loro. Nel 1984 il duo diventa quartetto, con l’entrata in campo di Annalena e Danilo Fatur, il che permette loro di acquisire una più marcata fisionomia teatrale, di fare nei loro concerti tanta scena oltre che musica. Continuano a non utilizzare alcun batterista, stante la convinzione di Ferretti che non da quello il loro pubblico ne trarrà dei brividi. E in effetti vengono i brividi ad ascoltare su YouTube un qualche loro video clip, dov’è ogni volta una sommatoria di racconto musicale e di racconto teatrale.

Purtroppo a quei loro happening musicali degli anni Ottanta, che talvolta comportavano delle scazzottate nel pubblico, non ho mai assistito dal vivo. Ero allora fin troppo dannato dalla necessità di trovare nella carta stampata un ruolo di che campare, non lo avevo proprio il tempo e l’anima per andare a pedinare gli artisti che si esibivano lungo la via Emilia. Peggio ancora li avevo intravisti o appena sfiorati, ma non ho nessuno dei quattro album musicali partoriti dai CCCP negli otto anni del loro tempo migliore. Appena lette le prime pagine del catalogo da cui ho preso le mosse, subito ho telefonato al mio compare Franco Brizi, massimo esperto italiano quanto al reperire vinili rari e di qualità. Che me li trovasse a tutti i costi quei quattro vinili ciascuno nella loro edizione originale. Non è facile, mi ha risposto, sono ricercatissimi. Vorrà dire che pregherò Iddio che prima o poi arrivino. Nel frattempo vado sbucciando le paginate di Amazon da cui risaltano le tracce dell’avventura musicale e intellettuale dei CCCP. C’è una marea di offerte, il segno che il loro pubblico dei tempi gloriosi non demorde come si addice ad autori che sono tra i classici di un’epoca. Ho comprato un libro di Ferretti, Òra. Difendi, conserva, prega, che dai clienti di Amazon ha avuto finora ben 185 pareri tutti entusiasti.

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