LAPRESSE 

Uffa

Un sogno lungo un secolo. L'epopea Olivetti, da Camillo a Mario Tchou

Giampiero Mughini

Quella Lettera 22, quella su cui scriveva Indro Montanelli e che mi fece compagnia sul treno Catania-Roma, creata dalla Olivetti, fu premiata come più bell'oggetto di design dell'intero Novecento

Pur essendo stata la Olivetti fondata nel 1908 da Camillo Olivetti, una delle aziende qualitativamente più importanti del Novecento, c’è tra noi italiani una distinzione secca. Tra quelli per i quali il termine “Olivetti” evoca un qualcosa che ha avuto grande importanza nella loro vita, e quelli che a sentire questa dizione non sanno bene a che cosa alluda, o per lo meno non lo sanno sentimentalmente, che è poi quello che conta. Da un canto stanno gli italiani ultracinquantenni che al tempo della loro giovinezza hanno battuto ai tasti di una macchina da scrivere Olivetti, e dall’altro quelli che fin dai loro anni più verdi hanno avuto a disposizione un computer con cui mandare una mail o scrivere un libro. Per quanto mi riguarda, il fatto che nella mia famiglia di borghesia impoverita degli anni Cinquanta mio nonno avesse una macchina da scrivere Olivetti con la quale facevo i compiti di casa e che più tardi mio fratello Beppe mi regalasse un esemplare della Valentina rosso fuoco olivettiana disegnata da Ettore Sottsass nel 1969, ebbene questo mi ha cambiato la vita. 


Sono uso raccontare che nel gennaio 1970 a cercarmi un destino montai su un treno che da Catania mi portava a Roma, forte in tutto e per tutto di seimila lire in tasca. Sbagliatissimo, su quel treno mi portavo appresso anche un esemplare della Valentina nel suo astuccio e che adesso se ne sta ai miei piedi al modo di un augurio e di una benedizione. Ne ho cavato il mio pane fino alla scrittura del Compagni addio del 1987. Il libro successivo l’ho poi scritto al computer. A dirne il risalto che quegli strumenti di lavoro hanno avuto nella mia vita, un esemplare della Lettera 22 (quella su cui scriveva Indro Montanelli rannicchiato per terra in una celebre foto) e uno della successiva Lettera 32 le tengo in mostra nella casa/museo in cui ho scelto di abitare. Sapevate che la Lettera 22 creata dalla Olivetti su design di Marcello Nizzoli nel 1950 era stata premiata quale il più bell’oggetto di design dell’intero Novecento? 


Ecco perché ho avuto come un sussulto quando mi è arrivato un recentissimo tomone dal titolo Olivetti. Storie da una  collezione (Ranzani editore, 2023) dove i testi di Sergio Polano accompagnano le immagini della specialissima collezione che un rinomato libraio antiquario di Asti, Alessandro Santero, ha apprestato sulla storia di quei macchinari Olivetti – macchine da scrivere e calcolatrici – che per quasi mezzo secolo hanno avuto nel mondo il fulgore che spetta oggi ai computer della Apple. È un repertorio di poster, fascicoli di rivista, volantini promozionali da lasciarti senza fiato nel raccontare la storia di cui noi tutti siamo figli, la storia della comunicazione moderna. Una storia che il fondatore dell’azienda di Ivrea, l’ingegnere Camillo Olivetti (nato nel 1868, muore nel 1943), fece partire nel 1908 ed era il tempo in cui il mercato delle macchine da scrivere era dominato da alcune aziende americane. E difatti la prima macchina da scrivere prodotta su larga scala a Ivrea, la M 1 di un color nero lucido prodotta dal 1911 al 1920, è un bestione da 17 chilogrammi che ricalca paro paro la Model 1 dell’americana Underwood. Solo che l’ingegnere Camillo e soprattutto suo figlio Adriano (nato nel 1901, muore nel 1960), uno che aveva debuttato in azienda lavorandoci da operaio, non ci stanno a battere le strade già percorse da altri. Spasimano entrambi di creare uno “stile Olivetti”, e a questo scopo hanno creato in azienda una sorta di cuore pulsante grafico e promozionale che fa capo al designer svizzero (e naturalizzato statunitense) Xanty  Schawinsky (nato nel 1904, muore nel 1979), uno che nel 1933 è venuto a vivere a Milano dove collaborerà con il mitologico studio grafico fondato da Antonio Boggeri. Durante tutti gli anni Trenta tra lo Studio Boggeri  e lo staff della Olivetti è un andirivieni di talenti, da Nizzoli a Bruno Munari, da Luigi Veronesi a Costantino Nivòla, da Edoardo Persico a Giovanni Pintori. Nascono le avvincenti macchine da scrivere Olivetti (ma anche le altrettanto avvincenti macchine da calcolo firmate da Mario Bellini) e contemporaneamente nasce la loro leggenda, animata da un’impareggiabile campagna pubblicitaria accurata in ogni suo dettaglio. Nell’immediato Dopoguerra, ed è il momento di migliore riuscita commerciale dei prodotti Olivetti (celebrati in alcune mostre del museo più museo al mondo, il Moma di New York), persino i testi pubblicitari vengono affidati a una mano culturalmente sopraffina, quella dello scrittore e poeta fiorentino Franco Fortini.


Solo che i tempi si sono fatti stretti, nel senso che tutto dipende da quale azienda arriverà per prima a mettere al mondo i computer, gli strumenti elettronici che cacceranno via dal mercato le macchine da scrivere tradizionali. Succede che anche in questo la Olivetti sia all’avanguardia nel senso che è un ingegnere italiano di origini cinesi e che ha un ruolo di gran rilievo alla Olivetti, Mario Tchou (nato nel 1924, muore nel 1961), quello che si sta avvicinando più di tutti al dar vita a un computer puramente elettronico. L’Olivetti Elea da lui progettato in 40 esemplari nel 1959 era in quel momento il maggior supercomputer a transistor del suo tempo. Ce la farà l’Italia a vincere la competizione con altri paesi dove quel tipo di ricerca è foraggiata da contributi statali immensamente maggiori? C’è che nel 1960 Adriano Olivetti muore improvvisamente mentre sta viaggiando su un treno. Un anno dopo l’auto su cui viaggiava Tchou sull’autostrada Milano-Torino sbanda durante un sorpasso e cozza contro un furgone. Muoiono Tchou e il suo autista. Poco dopo, sovraesposta com’è finanziariamente, la Olivetti cede la sua divisione elettronica a un’azienda americana. E’ la fine del sogno olivettiano che voleva l’Italia ai primi posti nel mondo industriale moderno.