Ansa 

uffa!

“Azovstal”, foto e racconto dell'apice dell'inferno di questa maledetta guerra

Giampiero Mughini

Edito da Italia Storica, è un libro graficamente elegante, accurato, indispensabile quanto all’essenzialità con cui ci informa e comunica. A farne da cuore sono gli scatti di Dmytro ‘Orest’ Kozatsky, il soldato/fotografo del Reggimento Azov

E’ una lotta purtroppo estenuante quella per i libri e contro i libri. La lotta per i libri, ad averli, ad acquistarne il più possibile, a leggerne tanti. La lotta contro i libri perché i corrieri te ne portano ogni giorno più di quanti riusciresti a leggerne anche se di vite tu ne avessi tre, libri da cui non vuoi prescindere ma che non ce la farai a leggerli davvero, libri scritti da amici che stimi oppure inviati da case editrici che conoscono la mia ghiottoneria in fatto di carta stampata. Ne arrivano talvolta due o tre in un giorno e io ne faccio delle pile con un qualche criterio che alla fin fine non serve a niente. L’artista/designer Marco Stefanini (in arte Dummy) mi ha appena creato un sinuoso mobile/libreria in cui ho deposto un centinaio di libri che se ne stavano disseminati sul pavimento del mio studio, fin quasi a impedirmi di muovermi. Libri che attendono adesso la loro sorte: se essere infilati nei comparti della mia biblioteca loro pertinenti o essere letti prima o poi. O mai. Sulla mia scrivania di pile ce ne sono tre, ciascuna fatta da sette-otto libri, tanto che mi è rimasto solo lo spazio su cui apporre l’agenda dove segno gli impegni di lavoro.

Due di quelle tre pile non so più neppure quali libri contengano, quelli della terza di tanto in tanto li prendo, li soppeso, li sfoglio. Su tutti non mi dava pace un libro in formato orizzontale edito da Italia Storica dal titolo Azovstal, il nome dato all’immensa acciaieria della città di Mariupol dov’è stata inumana la resistenza di alcune migliaia di soldati ucraini (per lo più appartenenti al Reggimento Azov) all’attacco di forze russe immensamente superiori. Una resistenza che è divenuta il simbolo di come a tutti i costi gli ucraini stanno contrastando la sfacciata aggressione dell’esercito putiniano. Quel libro me lo aveva mandato un paio di settimane fa Andrea Lombardi, gran adepto italiano della statura letteraria di Louis-Ferdinand Céline, e difatti Azovstal era accompagnato dall’edizione italiana di un libro di Dominique de Roux su Céline, solo che ne avevo già letto l’edizione francese. Lombardi mi pare sia piuttosto di destra, ciò di cui mi infischio altissimamente. C’è che a me piacciono il suo lavoro editoriale e la passione di cui è impregnato.

Azovstal è un libro pregevole sotto tutti gli aspetti. Graficamente elegante, accurato, indispensabile quanto all’essenzialità con cui ci informa e comunica. A farne da cuore sono le foto di Dmytro ‘Orest’ Kozatsky, il soldato/fotografo del Reggimento Azov. Così come la città di Stalingrado è stata l’apice dell’inferno della Seconda Guerra Mondiale – e quando l’attacco tedesco aveva spinto i soldati russi sino a una distanza di 200 metri dal Volga retrostante e quando il contrattacco russo intrappolò nella città 300 mila soldati tedeschi –, così la fabbrica detta Azovstal funge da apice dell’inferno di questa stramaledetta guerra dei nostri giorni. Un inferno che le foto di Kozatsky testimoniano drammaticamente, giù in quegli scantinati illuminati appena appena dove i soldati ucraini sono accampati. Soldati macilenti, chi senza un braccio chi senza una gamba, chi sta fumando una sigaretta perché è l’unico bene rimastogli, chi avvolto nelle bende e nel gesso e che pure fa con le due dita il segno della vittoria. Tutti uomini che ce l’hanno scritto in faccia che non vogliono mollare, che resisteranno fino al limite della capacità umana. L’attacco all’acciaieria, cuore della linea di difesa ucraina nella cruciale città di Mariupol, cominciò nei primi giorni di marzo del 2022. Giorno dopo giorno si contrapposero i comunicati delle due parti in lotta, ognuna delle quali celebrava i suoi successi. Ancora il 13 aprile in un suo comunicato il comandante del Reggimento Azov, il tenente colonnello Denys “Redis” Prokopenko, esaltava gli “uomini veri che hanno scelto la strada della guerra” e li contrapponeva ai “soldati che si sono arresi che hanno scelto la via della vergogna”. Pochi giorni dopo, il 21 aprile, il Cremlino dichiara che la battaglia di Mariupol loro l’hanno vinta. In realtà non è affatto così, i combattimenti continuano. E’ del 5 maggio questo comunicato del capitano Sviatoslav “Kalina” Palamar, vicecomandante e portavoce del Reggimento Azov: “I difensori della città combattono da soli già da 71 giorni contro le forze nemiche, e in inferiorità numerica. Ma – accidenti – mostrano una tale resistenza ed eroismo che l’intero paese dovrebbe sapere che cosa significhi  davvero essere fedeli alla patria”. Di tanto in tanto i soldati dell’Azov alzano la bandiera bianca, ma lo fanno solo per avvertire i russi di un’imminente evacuazione dei tantissimi civili rifugiatisi nell’acciaieria.

Ancora l’8 maggio, sulla pagina Telegram di Azov-Mariupol si legge: “Durante l’ultima evacuazione dal territorio dello stabilimento Azovstal gli occupanti hanno separato una donna dalla figlia Alisa, di 4 anni. La madre è rimasta in un campo di filtraggio nel territorio della cosiddetta Dpr. Oggi, in occasione della festa della mamma, è arrivata a destinazione a Zaporizhzhia solo la bambina. Al momento non si sa dove si trovi la madre! Chiediamo alla comunità mondiale di intervenire e di restituire la madre alla bambina”. Alla mattina del 20 maggio, e dietro le pressioni di Volodymyr Zelensky che a quel punto reputava inevitabile la resa degli uomini dell’Azov purché fosse salva la loro vita, il comandante Prokopenko comunica che la battaglia è finita: “L’alta dirigenza militare ha ordinato la cessazione della difesa della città dopo 86 giorni di combattimenti”. Tutti noi abbiamo visto in tv le immagini dei soldati dell’Azov che si consegnano ai russi. Non ricordo dove avevo letto di un ufficiale russo che si avvicinò a un ufficiale ucraino stringendogli la mano e dicendogli di essere onorato dall’avere combattuto contro uomini di tal valore.

Di più su questi argomenti: