Soldati ucraini (LaPresse)

un foglio internazionale

Le testimonianze dei combattenti pronti a sacrificare la vita per l'Ucraina

Una “guerra in diretta” dagli accenti struggenti nel racconto di uno studioso della Grande guerra patriottica. Scrive il Point (30/12)

Sono dieci. Vengono dall’Ucraina, dalla Lettonia, dalla Georgia, dalla Russia, c’è un ex dell’Fsb…Lasha Otkhmezuri li ha intervistati. Con Jean Lopez, aveva cofirmato numerose opere, tra cui “Barbarossa”, e aveva intervistato per “Grandeur et misère de l’Armée rouge” degli ex combattenti della Grande guerra patriottica. Questa volta, questo ex giornalista di Radio Free Europa non ha aspettato cinquant’anni, ma alcune settimane per chiedere ai suoi ex colleghi in Ucraina di metterlo in contatto con alcuni combattenti che tornavano dal fronte: per approfittare di un permesso, per curare una ferita di guerra o per seppellire un amico soldato. Otkhmezuri ha parlato con decine di loro prima di sceglierne dieci, incontrati a più riprese in videoconferenza. “Pochissimi si sono rifiutati, hanno testimoniato spontaneamente. Alcuni non erano interessanti, è stato necessario operare una selezione. Ho avuto molte difficoltà con Maria, la donna, che quasi non parlava. Yuri, che è russo, si è rifiutato di esprimersi nella sua lingua, voleva farlo in ucraino”. È questa la guerra in diretta: dopo solo pochi mesi, offre già una raccolta impressionante che ci trascina nella quotidianità a malapena filtrata del conflitto. Alcuni sono ripartiti al fronte senza aver nemmeno il tempo di rileggere la loro testimonianza. Eccone alcuni estratti.

Nella fabbrica di Azovstal a Mariupol (Ruslan, 29 anni)

Mi ero ritrovato a far parte di un gruppo di sette-otto persone. Stavamo prendendo posizione fra gli immobili abbandonati, al fine di distruggere i blindati russi che tentavano di avvicinarsi alla fabbrica di Azovstal a Mariupol. Naturalmente i russi ci colpivano in continuazione con delle bombe a grappolo. A causa di questi bombardamenti continui, i civili passavano le loro giornate nei rifugi sotterranei. Alcuni non hanno sopportato questa tensione e sono diventati pazzi. Ho visto delle persone che camminavano sotto le bombe e parlavano a voce alta, smarrite. E poi c’era il bisogno di nutrirsi, di bere. Una volta, ho visto una donna con i suoi figli uscire da un rifugio sotterraneo per andare a cercare dell’acqua, correndo il rischio di morire. Avevamo quattro bottiglie d’acqua e gliele abbiamo date tutte. Per ringraziarci, lei e i suoi bambini ci hanno portato poco dopo un grande piatto di kasha. Per noi, è stato un pasto regale. Detto questo, era un fatto molto raro che avessimo con noi così tanta acqua. Di solito, bevevamo l’acqua dei water negli appartamenti abbandonati (…). Quel giorno eravamo una dozzina, un gruppo eterogeneo composto da alcuni membri della fanteria, da quelli di Azov; gli altri appartenevano alla 74esima brigata della marina e alla difesa territoriale locale. La nostra missione era quella di trovare un punto d’appoggio in un luogo chiamato “Squelette”. La mappa vi indicava la presenza di un edificio dove pensavamo di poterci rifugiare. Ma quando siamo arrivati sul posto, c’erano soltanto macerie. Abbiamo dovuto proteggerci da un’altra parte, eravamo costantemente bombardati dall’artiglieria navale russa. Ho notato una casa costruita a metà non lontano da lì e ho proposto ai miei ragazzi di rifugiarsi in quell’edificio. Il luogo era una vera e propria topaia ed era fondamentale che lo abbandonassimo per salvare la nostra pelle il più rapidamente possibile. Il nemico era effettivamente ovunque attorno a noi. Per uscire da questo accerchiamento, dovevamo percorrere una strada per circa settanta metri, scoperti, e diventare in questo modo dei bersagli viventi dei fuochi delle mitragliatrici. Quelli della difesa territoriale erano pieni di paura e non riuscivano ad abbandonare i sotterranei della casa in cui eravamo rifugiati. Così ho ricaricato la mia mitragliatrice e ho sparato una raffica di proiettili ai loro piedi per costringerli ad uscire da lì.

 

Non è una questione di genere (Maria, vice comandante del battaglione Karpatska Sitch, 47 anni) 

Poiché la nostra unità è costruita sul volontariato, mi capita spesso di fare dei colloqui con dei candidati uomini o donne, e posso assicurarvi che per me, come per gli altri ufficiali di sesso maschile, il criterio principale della selezione è il motivo per cui si arruolano. Il genere viene dopo. Un’altra questione frequente quando mi chiedono com’è la mia vita nell’esercito è: qual è la mia autorità sugli uomini? La mia risposta, ogni volta, è che un ufficiale mediocre è sempre meno efficace di un sotto-ufficiale che fa correttamente il suo dovere. Stessa risposta con il genere. Pochissime cose dipendono da esso. La fiducia e il rispetto dei soldati vengono conquistati con l’esperienza, l’intelligenza e il coraggio. Oggi, mi capita di guidare degli uomini in prima linea.

 

(Traduzione di Mauro Zanon)
 

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