commiato
Ora che sta per soccombere, il battaglione Azov merita solo rispetto
Un fiore per chi ha combattuto a Mariupol contro le tecniche cecene
I nazisti massacrarono gli ucraini che erano stati sterminati a milioni dai sovietici qualche anno prima (Holodomor 1932-1933) e ora subiscono il trattamento speciale dei russi di Putin “denazificatori” chimici. Certi equivoci maledetti si spiegano da soli. Nessuno per ora vuole “denazificare” la Francia, anzi molti putiniani, moltissimi, tifano per Le Pen e hanno tifato per Zemmour, ma in Ucraina il partito di estrema destra fa il 2 per cento, non il 30 al primo turno, e qualche curvaiolo della Dinamo Kyiv, tatuato con la svastika, fa parte di un battaglione nazionalista chiamato battaglione Azov. E dunque?
Insieme ai marine dell’esercito regolare ucraino, risulta che questi spietati nazisti dell’Azov hanno combattuto per quasi due mesi in una città, Mariupol, la città di Maria, dove le tecniche cecene, e i ceceni stessi, hanno groznificato case e corpi di civili, donne, vecchi e bambini compresi, fino a impedire l’accesso ai corridoi umanitari.
Una guerra di conquista territoriale, motivata dal neoimperialismo zarista e paranoico di un capo, o Führer, che domina Mosca con progressive quote di violenza sociale e politica da 22 anni, dieci di più di quanto durò l’intera vicenda del Terzo Reich. Una guerra bastarda dalle motivazioni ignobili contro una democrazia politica ribelle agli ordini, sulla spinta di una cultura che predica da secoli il disprezzo grande russo verso Chochlandia, il paese di quelli che portano lunghi ciuffi, i Chocholy, gli ucraini. Ecco. Ora che sta per soccombere eroicamente, ora che sta per essere annientato, il battaglione nazionalista Azov, schierato a difesa di una patria che nazisti sovietici e russi hanno cercato di mangiarsi viva, merita tutto il rispetto che meritano i soldati da leggenda.
Al termine del suo bel libro sul gulag, Anne Applebaum si domanda perché, passeggiando per il mercato delle pulci berlinese, se era impensabile trovare “cimeli” del nazismo, si potevano comprare a buon prezzo gli snachoki, i distintivi dell’Armata rossa, con falce e martello e l’immagine di Stalin nel rovescio della medaglia. Risposta perfino troppo semplice: Stalin ha vinto a Stalingrado e ha liberato Auschwitz e Berlino, sebbene solo per imporre un totalitarismo di segno opposto e simile a quello sconfitto, ma era alleato dell’occidente dopo averlo più volte tradito (ricambiato). In Ucraina le cose sono ancora più complicate, e il patriottismo dei Chocholy ha un volto, e un tatuaggio, per così dire multilaterale o multiverso. Sono cose che probabilmente sfuggono ai professori di storia pedanti dell’École Barisienne, che per fortuna si limitano a torturare mentalmente l’opinione pubblica più sprovveduta e i ragazzi delle scuole, senza danni fisici per alcuno; ma sono cose che fanno parte della storia da loro considerata genericamente necessaria, con la tipica superficialità di certi postcomunisti dell’irredentismo rosso.
Tranquilli. Fra qualche tempo la denazificazione avrà trionfato nella morte e nell’orrore a Mariupol, e di quei combattenti delle moderne Termopili non si sentirà più parlare, in tanto parlare che si fa di coraggio, di pace, di disarmo e di riarmo. La guerra è la cosa più brutta che ci sia, e bisogna conoscerla per odiarla oltre la misura dell’umano, per così dire, ma i buoni, quelli perfettamente descritti da un ispirato Francesco Piccolo su Repubblica di ieri, non corrono mai rischi, perché in certi casi drammatici chi sa fare combatte o aiuta chi combatte, chi non sa fare insegna o meglio parla, incessantemente, e sempre e sistematicamente dalla parte di chi aggredisce con il maggiore volume di fuoco a disposizione. Hanno cercato di ritardare le celebrazioni imperiali, travestite da antifascismo, del 9 maggio putiniano e neozarista: un fiore personale per il battaglione nazionalista e “neonazista” Azov.
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