Dal profilo Facebook del Macro Roma 

collezioni e collezionisti

Una mostra al Macro per scoprire il libro d'artista, leccornia del Novecento

Giampiero Mughini

Una sala per mettere in risalto i 50 libri della collezione Hanuman Books che il pittore Francesco Clemente e l’esperto d’arte Raymond Foye avevano covato a New York tra il 1986 e il 1993. Sono miei, la raccolta l'ha messa insieme Giorgio Maffei, maestro di libri moderni alla cui memoria è dedicato questo articolo

Il Macro di Roma è il più modernista dei musei romani. Il suo direttore, Luca Lo Pinto, ne ha appena dedicato una sala a mettere in risalto i 50 libri e librini che costituiscono la collezioncina editoriale Hanuman Books che il pittore italiano Francesco Clemente e l’esperto d’arte americano Raymond Foye avevano covato a New York nel corso di sette anni, tra il 1986 e il 1993. Entri nella sala romana e calpesti le riproduzioni – foto poster inviti dediche – dei materiali relativi all’archivio della collezione scovati da Lo Pinto in un’università americana. Sulla parete di fronte sono invece incastonati entro una struttura orizzontale in vetro i 50 fatidici libri, 49 dei quali in un formato tascabile e uno soltanto in un formato più grande. Tutti nell’aroma assai speziato delle avanguardie del Novecento pencolanti tra arte, letteratura e musica. Opere in lingua inglese a firma Allen Ginsberg, il nostro Sandro Penna, Francis Picabia, Jack Kerouac, René Daumal, la cantante Patti Smith. Pubblicati in tirature che vanno dalle 500 alle 3.000 copie, è pressoché impossibile trovarli riuniti tutti assieme. Né Clemente né Foye ce li hanno tutti. 

Quella esposta al Macro è la mia di collezione. Solo che il merito di averla completata libro dopo libro è del grande studioso e libraio antiquario torinese Giorgio Maffei (morto nel 2016), quel maestro di libri moderni alla cui memoria è dedicato questo articolo. E tanto più che è appena uscito (I libri d’artista che hanno fatto storia, Editrice Bibliografica) un libro in cui sono radunati gli articoli preziosissimi che Maffei aveva scritto nel tempo per la rivista Wuz di Ambrogio Borsani a scandire la storia di questa ennesima leccornia del Novecento, il libro d’artista per l’appunto. Ossia un libro di carta ma talmente dissacrato e stropicciato e reinventato dal suo autore da diventare ogni volta un autonomo atto d’arte. Abissalmente diverso dai tradizionali libri illustrati, quelli che avevano su una pagina un testo e nella pagina accanto un’illustrazione per quanto bellissima. Chi non conosce la storia dei libri d’artista del Novecento non sa che cosa si perde. Ebbene, la conoscenza di quella storia noi italiani la dobbiamo cento per cento al genio di Giorgio. 

Torniamo per un istante alla collezioncina degli Hanuman Books. Ne avevo individuato l’esistenza in un libro di Borsani in cui accennava al fatto che Maffei l’avesse proposta in un suo catalogo. Arciconvinto che quei libri fossero stati venduti, telefonai alla sua vedova, Paola Maffei, che ne custodisce il lascito e ne prosegue il lavoro. E invece no, c’erano ancora sugli scaffali della casa torinese di Giorgio e Paola, in quel vano rialzato cui si accede con una breve scaletta e nel quale ho passato tanti momenti ammalianti oltre che rovinosi per le mie tasche. Ci ho messo trenta secondi a decidere di comprarli. Alla collezioncina messa assieme da Giorgio, dei 50 libri ne mancavano due. La valorosa Paola li ha scovati nel tempo. Quando Lo Pinto l’ha chiamata per dirle che voleva mettere in mostra gli Hanuman Books, Paola gli ha detto di averli venduti a me. Al che Lo Pinto mi ha telefonato. 

Sì, quanto alla mia collezione di libri d’artista ho imparato tutto da Giorgio, dalla lettura dei suoi articoli su Wuz, da quei nostri incontri nel vano della casa torinese. Da chi altri potevo apprendere come esattamente fosse nato il mitologico Twentysix Gasoline Stations del 1963, il libro dell’artista americano Ed Ruscha che funge da capostipite del moderno libro d’artista? Nato a Nebraska nel 1937, Ruscha si diede a percorrere – nel tratto che va dalla sua casa di Los Angeles a quella dei suoi genitori a Oklahoma City – la più famosa autostrada americana, la Route 66 che ha fatto a lungo da nervo vitale degli States. Le immagini che lo colpirono di più furono le stazioni di pompe di benzina talvolta cadute in disuso che ricorrevano lungo il percorso, immagini al modo di un’archeologia del moderno. Ebbene Ruscha non fece altro che fotografarle tali e quali, fotografie a loro modo gelide che non avevano la benché minima pretesa di artisticità. Ne venne fuori un libro edito in 400 copie che Ruscha vendeva ai suoi amici per tre o quattro dollari a copia (ne farà più tardi altre due edizioni). Nelle biblioteche americane quel libro lo trovi talvolta sotto la dizione “trasporti”. Ad acquistarne una bella copia della prima edizione oggi ci vorrebbero qualcosa di vicino a 30 mila dollari sonanti. Un capolavoro dopo l’altro, Ruscha ha continuato a lungo per quella strada. Tranne i primi due, e non me ne do pace, i suoi libri d’artista li ho tutti e li tengo in tale pregio da conservarli in un mobile di ferro che ho fatto disegnare ad hoc da Roberto Mora.

Eppure le orme di Giorgio sulla mia biblioteca sono ancor più marchiate su un altro libro d’artista del Novecento, il favoloso Contemplazioni dello scultore Arturo Martini, il minuscolo libro del 1918 (14 cm d’altezza per 10 cm di base) edito in 40 copie di cui ne sono sopravvissute soltanto due e che io giudico il libro più sacrale del Novecento italiano. Sì, più ancora della prima edizione dei Canti Orfici di Dino Campana, della prima edizione gobettiana degli Ossi di seppia di Eugenio Montale, dei romanzi triestini di Italo Svevo. Un libro fatto solo di segni impressi in xilografia sulla carta, di grafie a piena pagina ripetute e modificate sino all’ossessione, e della cui musicalità ha scritto generosamente una studiosa e collezionista, Maria Gioia Tavoni, quanto me ipnotizzata da quel libro. Dopo quella prima e misteriosa prima edizione Martini ne appresterà una seconda e una terza (con importanti modifiche). Rarissima la seconda edizione del 1936, anch’essa nel formato della prima. Giorgio mi telefonò a propormela. Il tempo di riprendere fiato e subito gli dissi di sì.