Francisco Umbral (Wikimedia Commons) 

uffa!

Il lento allentarsi della morsa franchista visto dai tavoli del Café Gijón

Giampiero Mughini

È del 1977 il libro rapido e affascinante in cui lo scrittore spagnolo Francisco Umbral racconta i suoi debutti letterari tra Cinquanta e Settanta. Al centro c'è un caffè madrileno, tra scrittori e modelle. E una scoperta: a smussare i fanatismi ci riusciva solo il denaro

Pubblicato per la prima volta in Spagna nel 1977, La notte che arrivai al Café Gijón di Francisco Umbral (nato a Madrid nel 1932, morto nel 2007) è il libro rapido e affascinante in cui lo scrittore spagnolo racconta i suoi debutti letterari nella Spagna tra Cinquanta e Settanta su cui l’ombra del franchismo andava appena appena affievolendosi. Umbral ha scritto romanzi e biografie importanti, ma in questo libro coltiva pagina dopo pagina il gusto delle linee veloci, quelle che conservano “l’aroma di quarto d’ora” in cui sono state scritte. Il mio vecchio amico Carlos D’Ercole (gran fruitore dell’immane opera giornalistica e letteraria di Umbral) ha voluto a tutti i costi che le Edizioni Settecolori governate da Stenio Solinas lo pubblicassero in una loro splendida collana di ritrovamenti novecenteschi. E siccome Carlos ha ai miei occhi una grande reputazione di “lettore”, come dimostra la sequenza da brividi erotici dei libri da lui esaltati nel suo Dizionario gonzo del 2018, appena il postino mi ha consegnato il libro di Umbral subito ho deciso che ne avrei scritto sul Foglio. 

E tanto più che Carlos mi attizzava dicendomi che l’io narrante del libro, ossia un Umbral più o meno trentenne, somigliava non poco al me stesso poco meno che trentenne arrivato a Roma nel gennaio 1970 a cercare di che campare. Carlos mi ha mandato un video di Umbral di cui diceva che mi ci sarei ritrovato, ed è il video di una sua eruzione verbale furibonda durante una trasmissione televisiva cui lo avevano adescato (ad andarci gratis) promettendo di parlare di un suo libro appena uscito e laddove dopo un’ora di trasmissione di quel libro non era stato fatto il benché minimo cenno. Effettivamente è una situazione che conosco bene. Siccome in televisione gratis non ci vado neppure morto, qualche volta tentano di adescarmi promettendomi di parlare di un mio libro. Al che cortesemente rifiuto, nella loro trasmissione parlino di quello che vogliono ma io gratis non vado, tanto lo so bene che accennare di sfuggita a un libro di cui la conduttrice televisiva sta sventolando una copia vale meno di zero ai fini della sua diffusione. L’unica trasmissione televisiva in cui in un libro veniva trattato adeguatamente era un tempo quella di Fabio Fazio. Le altre non spostavano e non spostano una copia che sia una. Tra libri e schermo televisivo è un matrimonio pressoché impossibile, se per caso durante una trasmissione pronuncio il titolo di un qualche libro vedo che sul volto del conduttore si delinea una sorta di lutto. E comunque era meravigliosa la furia di Umbral nel video di cui ho detto.

A fare da scena centrale del libro di Umbral è un caffè madrileno che immagino celeberrimo in quegli anni, il Café Gijón e dunque i suoi frequentatori che vi si riunivano a conversare in gruppi sempre gli stessi. “Potevano essere vecchie attrici, potevano essere prestigiosi omosessuali, potevano essere qualunque cosa”, l’importante era che se ne stessero al Gijón, ciò che non era un’abitudine ma piuttosto una religione cui non avrebbero rinunciato per nessun rogo al mondo. Scrittori tanti, tantissimi, e peccato io non li conosca e possa apprezzare al giusto le poche e fulminanti righe che Umbral dedica a ciascuno di loro, e quando li ama e quando li sprezza. E poi c’erano le modelle, tante, tutte desiatissime da quel branco di maschi allupati: “Liriche gru, fenicotteri femmina, dalle gambe sottili e con le caviglie fragili, dagli occhi misteriosi e con il collo musicale, muovevano con grazia professionale il loro costoso abbigliamento”.

E poi c’erano le progressiste dell’anno sessanta e qualcosa: “Erano ragazze adorabili, con il volto fresco e infantile da scolaretta da liceo di suorine gesuite poi risultate mangiauomini, oppure con il volto arcigno e bello della signorina di provincia che si scopre intellettuale e che a ogni piè sospinto dice che ne abbiamo avuto abbastanza di questo cazzo di franchismo (…). Che bellezza, a casa delle progressiste, vedere come appendevano ad asciugare un paio di mutande sul vertice di un mobile-libreria e come la cultura, i libri clandestini, tutti gli strumenti dell’essere giovani che usavo io stesso, lì avessero uno spirito diverso e convivessero alla perfezione i libri imbarcati di Marx con la biancheria che la progressista aveva rubato ai grandi magazzini”. Una volta comparve anche Sophia Loren, che probabilmente stava girando un film in Spagna e che Umbral andò a intervistare per non ricordo quale giornale: “Sophia Loren era molto alta, ma non aveva quel testone che si vede al cinema, bensì un capo e un viso quasi minuti, di grande fascino. E poi, ovviamente, c’era l’enorme spettacolo dei seni, messi ancora più in evidenza dal corpetto d’epoca che indossava, e lo splendore del sorriso, anche se i suoi begli occhi non vi prendevano parte”.

Eppure la nota più significativa del libro, il fondale su cui scene e personaggi prendono il loro risalto, è il lento allentarsi della morsa franchista sulla vita reale spagnola, il fatto che il progresso dato dal maggior denaro a disposizione di tutti stava smussando i reciproci fanatismi da cui era nata quella guerra civile che era durata ben più che tre anni: “Eravamo negli anni in cui nascevano lo sviluppo a tutti i costi e il consumismo. Gli spagnoli cominciavano a pensare che finalmente si sarebbero raccolti i frutti di un dopoguerra tanto lungo e di una sottomissione sostenuta. Quanto ai contumaci della resistenza, non si erano affrancati dal ricevere il sottile influsso di un benessere becero e domenicale che elogiava i versanti più elementari e innocenti dell’uomo. Così, in qualche modo l’incipiente ricchezza aveva alleviato le tensioni e cominciavamo a prendere atto come di una disirritazione, di una sdrammatizzazione della vita spagnola”. Il denaro sì e non le armi avevano consegnato la vittoria alla democrazia.

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