TERRAZZO

Bidone da museo

Michele Masneri

E’ morto Francesco Trabucco, progettista dello storico aspirapolvere. Diventato celebre negli anni 70 grazie anche a una  campagna pubblicitaria inventata da  Fritz Tschirren  

E’ probabilmente l’unico aspirapolvere ad essere esposto nei musei di design, e adesso viene riscoperto a causa della morte del suo inventore, Francesco Trabucco, venuto a mancare nel weekend.

 

Il Bidone aspiratutto era una specie di antesignano del Dyson seppur con forme e un pubblico del tutto diversi. Era il 1975, si era in piena crisi (culturale, politica, petrolifera), e Trabucco  fu richiesto di disegnare un aspirapolvere robusto e poco pretenzioso, che si potesse trainare, capace di aspirare non solo la polvere ma anche residui più sostanziosi e perfino liquidi.

 

Ci mise del genio: realizzando una specie di ready made, composto da un bidone simile a quelli della vernice, poi istoriato con una scritta di tipo militare (M.A.S.H., il film, è di cinque anni prima). “Trabucco al Politecnico aveva fondato un corso di Design engineering molto innovativo e interessante, dove si fondeva la tecnologia del progetto con una visione più umanistica”, dice al Foglio Gabriele Neri, professore a contratto di Storia del design allo stesso ateneo.

 

 

“Era allievo di Marco Zanuso, che rappresentava quella generazione celebre per la ricerca sulla bella forma, la perfezione tecnica e stilistica”, insomma aristocrazia del design italiano; però col Bidone si entra in una dimensione decisamente più pop, “se pensi appunto alle scritte militari a stencil, all’idea stessa del bidone di lamierino, in quegli anni post ’68 ma ancora molto prima di altre esperienze più espressioniste, di movimenti come Memphis, che giocavano con le forme, ma  molto più tardi”.

 

Il Bidone insomma è anche uno scherzo, una presa in giro del Sacro Design Milanese, e chissà se avevano previsto questo enorme successo. Molto fece la comunicazione, ultrapop, con una campagna che si ispirava a tutto quel filone “strano ma vero” e “forse non tutti sanno che” dei giornali popolari. In un annuncio si vede una donna indiana armata di Bidone, e la didascalia recita: "Per sfuggire alla legge salgariana dell’oni-gomon, che prescrive alla vedova di immolarsi sul rogo e confondere le proprie ceneri con quelle della salma cremata, una maharani ha prontamente risucchiato i resti del caro estinto sottraendosi alla cerimonia suicida”.

 

In un altro, “moglie impazzita strappa dentiera al marito con bidone aspiratutto”; in un altro ancora,  "Bestiale. Jane pulisce le orecchie a King Kong col Bidone aspiratutto"; e ancora; “Nuovo servizio a Hong Kong: Bidone aspiratutto aspira abiti di uomini d’affari”.  La campagna fu creata dalla STZ, piccola ma agguerrita agenzia milanese composta da Hans-Rudolf Suter, Fritz Tschirren e Valeria Zucchini. Oggi susciterebbe incidenti diplomatici e offese multiple, però all’epoca era veramente innovativa.

 

Jacques Séguela, guru mondiale della pubblicità, la inserì tra le migliori 60 campagne della storia. Tschirren, che ne fu l'artefice,  uno svizzero arrivato a Milano nel pieno del boom creativo, si era invaghito della Domenica del Corriere con quelle illustrazioni iperrealiste e truculente, “e dell’ultima pagina di Grand Hotel”, racconta ora al Foglio. “Con i disegni di Walter Molino; e  così gli chiedemmo di farli anche per questa pubblicità, e lui prima accettò, poi traccheggiò, dicendo che preferiva giocare a golf. Ma se volevamo, disse, aveva un nipote che aveva una buona mano, così prendemmo questo Roberto Molino”.


“In otto anni facemmo più di cento annunci per il Bidone", dice ancora Tschirren. "Diversissimi tra loro". Certo non unici, come nell’altra celebre campagna da lui diretta, la  “Unikatskampagne” ad annuncio irripetibile, sperimentata per l’amaro Jägermeister reclutando facce di gente normale in giro per Milano.

 

Ma la  campagna fu ugualmente rivoluzionaria:  “non c’erano nessun logo e nessuno slogan, forse quegli elementi che preoccupavano il vecchio Molino e lo fecero soprassedere. Fu un successo immediato: nel giro di un anno il Bidone divenne l'aspirapolvere più venduto in Italia. La Vortice dovette fondare una divisione apposita, chiamandola Alfatec”. Divenne un fenomeno anche di costume. “Facemmo dei test, e sulle riviste diciamo intellettuali, come Panorama ed Espresso, avevamo ottimi riscontri. Mentre su quelle popolari come Oggi nessuno si ricordava di aver visto una réclame di un aspirapolvere. Poi però se chiedevamo: avete letto un articolo così e così, tutti improvvisamente si ricordavano. Insomma pensavano che fossero vere notizie, e non una pubblicità”.

 

Così nacque il mito del Bidone, robustezza  e leggendaria capacità di aspirazione, aria rustica ma intellò, una Diane degli elettrodomestici, modesta ma – per usare l’orrida parola – iconica. Del resto in linea col suo progettista, il Trabucco che non pare abbia sofferto di passare alla storia per un aspirapolvere invece che per più consone sedute o lampade. Così oggi il Bidone campeggia al museo del Design della Triennale insieme ad altri manufatti più nobili, tra la sedia Superleggera di Ponti e le caffettiere di Richard Sapper; senza proprio nessun complesso.


 

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  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).