L'arte controcorrente di Dario Passi

Michele Masneri

Dall’architettura alla pittura. Fino al 21 ottobre al Maxxi di Roma ci sarà “Forma urbis”

Rimarrà aperta fino al 21 ottobre al Maxxi di Roma una piccola mostra, “Forma urbis”, di Dario Passi, architetto e pittore scomparso a febbraio di cui il Museo nazionale delle arti ha acquisito alcune opere. Di norma è dalla pittura che si giunge all'architettura, senza scomodare i maestri del Rinascimento si pensa a Jacques Herzog o Adolfo Natalini. Dario Passi ha imboccato il percorso inverso e dunque controcorrente, ma per davvero, non solo a parole (peraltro doppiamente visto che è stato fra i pochissimi seguaci romani, da architetto, di Aldo Rossi). Passi parla del progetto di architettura e della sua rappresentazione come due stanze, due ambienti contigui, uniti su uno spigolo, una “sottile membrana” di “duchampiana concezione”. Il realismo di derivazione milanese l’ha portato a raffigurare e talvolta a lavorare nelle parti della città meno centrali, Tuscolano, Casilino, Quadraro, la Roma naturalmente “pasoliniana” e industriale dei grandi casamenti periferici e dei campi sterrati, degli scheletri cementizi e dei grandi acquedotti, cercando più le ripetizioni che le differenze, proprio come Arduino Cantafora e Massimo Scolari. Non a caso le sue immagini di città sono state esposte anche alla mostra sulla Tendenza, il movimento dei seguaci rossiani, al Centre Pompidou nel 2012. Fatale però fu la mostra organizzata nel 1982 da Francesco Moschini per la serie "duetto" dove si accostavano un architetto e un pittore, e Passi trovò Enzo Cucchi nel momento di massimo fulgore della Transavanguardia: da lì in poi Passi si dedicherà sempre più alla pittura, ma precisando che “quel particolare rapporto con la pittura non significa altro che riportare il progetto e l’architettura a un fatto visivo, a un fatto sostanzialmente formale”.

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