Foto di K. Kendall via Flickr

Venezia, la Svizzera e tu

Michele Masneri

Apre a Mendrisio la mostra su Louis Kahn e le sue incompiute veneziane

Da venerdì c'è una mostra su “Louis Kahn e Venezia”, a cura di Elisabetta Barzizza e Gabriele Neri, però in Svizzera, a Mendrisio, come mai? Facile: la locale Accademia di architettura è stata fondata da Mario Botta, deus ex machina anche del Teatro dell’architettura dove si svolge la mostra. Quando era studente a Venezia circa mezzo secolo fa, Botta collaborò ai due sfortunati progetti lagunari di Kahn, un centro congressi e un padiglione per la Biennale, entrambi rimasti sulla carta come i progetti di Le Corbusier per l’ospedale e di Frank Lloyd Wright per la Fondazione Masieri.

  

Venezia dunque come bestia nera del moderno, anche di quello più storicista di Kahn (che è stato maestro dell’appena scomparso Bob Venturi padre del postmoderno), di Botta e persino di Renzo Piano. Nato in un’isola dell’Estonia da genitori presto emigrati negli Stati Uniti, Kahn è stato un punto di riferimento costante degli anni 60 e 70 un po’ per tutti dopo la morte dei mostri sacri Le Corbusier e Mies van der Rohe . Sia i moderni che i postmoderni guardavano ai suoi grandi volumi progettati con enfasi misticheggiante (“anche un mattone vuol essere qualcosa, dovete glorificarlo”).

  

La mostra propone due progetti incompiuti e il rapporto con una città emblematica per ogni architetto, con prestiti da grandi musei, ma va sempre ricordato che l’amore per le grandi masse di mattoni gli proveniva pur sempre dall'amatissima Roma: dopo il suo lungo soggiorno all’American Academy del 1951, nel suo studio di Philadelphia terrà sempre una riproduzione del Campo Marzio di Giovan Battista Piranesi, cantore massimo della città eterna (nato però a Venezia. Tutto torna).

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