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Sandokan o reality?
Perché trasformare Salgari in una seduta psicologica da talk-show del pomeriggio?
Tra nostalgia, purismo salgariano e derive da telenovela, l’avventura di cappa e spada del nuovo “Sandokan” si trasforma in un melodramma psicologico che entusiasma il grande pubblico e irrita chi Salgari lo ama davvero
4.116.000 spettatori ha avuto il nuovo “Sandokan” su Raiuno. Pochissimi rispetto ai 27 milioni della mitica serie (per i boomer ma non soltanto, se la sigla dei fratelli De Angelis scorre ancora nelle vene della nazione televisiva) di Sergio Sollima del 1976, che rese un mito Kabir Bedi. Ma in un’epoca che aveva due canali soli. Quattro milioni sono molto per i nuovi tempi, e infatti rappresentano il 25,4 per cento di share: un successo, infatti è stato subito annunciato un sequel, con un cameo di Kabir Bedi.
Ma al favore della massa corrisponde l’ira di quella minoranza di italiani che Salgari continua a leggerlo. O che anche senza leggerlo sa distinguere tra un plot d’avventura e un pastiche da psicologia formato reality o peggio pomeriggio in tv. La gran parte degli spettatori ha fatto presumibilmente il confronto più con il vecchio sceneggiato, ma nel farsi élite i cultori salgariani sono anche diventati puristi e esigenti, in tempi di social organizzano chat e gruppi in cui discutono con fervore religioso, e lì questa trasposizione è stata accolta in termini di anatema: “Stasera su Raiuno ho visto un interessante sceneggiato: un ottimo collage di ‘Biancaneve e i 7 nani’, ‘Cenerentola’, ‘La Passione di Cristo’, ‘Amistad’, ‘Braveheart’ e infine ‘Titanic’. Era ambientato in Calabria. Solo non mi ricordo quale fosse il titolo”, è uno dei commenti, che potrebbe riassumere il tono generale delle invettive.
Si potrebbe aggiungere che di film citati ve ne è una quantità di altri: da “Pirati dei Caraibi” a “Mission”, passando per “L’ultimo samurai” e “Laguna blu. Il soggettista Alessandro Sermoneta ha peraltro ammesso che la sua ispirazione letteraria principale non è stata Salgari, ma Rudyard Kipling e Amitav Ghosh. Molto onore a Kipling e Ghosh, ma in questo guazzabuglio della trama sta probabilmente il limite del nuovo “Sandokan” e soprattutto quel sovrappiù di noia da divano, di senso di confusione, che ha preso molti. Se c’è un marchio di fabbrica inconfondibile, che supera persino i secoli, del romanzo d’avventura, e Salgari ne è il più grande esponente italiano, è la psicologia piatta, grado zero direbbe Barthes, dei personaggi. Tutto è azione, anche i più atroci tormenti e pene d’amore si sfogano in un arrembaggio o un colpo di scimitarra. Qui, sequenze e sequenze in penombra da isola dei famosi, con Sandokan a interrogarsi se sua mamma lo amava davvero, e il babbo dov’è finito. E anche Marianna avrà sofferto nell’età evolutiva? Un talk del pomeriggio, ma in costume. Segno dei tempi? Certo, anche Sollima si era preso la libertà di far incontrare Marianna con Brooke. Ma qui Brooke diventa addirittura prima rivale in amore e poi alleato di Sandokan, il quale si scopre essere cresciuto in un bordello, mentre Yanez è un ex prete. Manca Maria De Filippi. C’è perfino un giovane Salgari, 22 anni prima della nascita di quello vero, che prende appunti per le storie. Ma il punto più importante è che quelle di Salgari erano trame da pura cappa e spada, salvo le spiegazioni storiche, geografiche o scientifiche con cui lui e Verne si sforzavano di contrabbandare la letteratura di evasione come prodotto educativo. Il successo di oggi è invece cercato dando al tutto un tono da telenovela brasiliana, con un protagonista preso dalle telenovela turche. Più una spruzzata di posta del cuore. Il Salgari 5.0?