Ricetta seriale
Hanno ucciso l'Uomo Ragno, la serie nostalgica sugli 883
Max Pezzali e Mauro Repetto sono due ragazzi normali, comuni che hanno trovato nel loro sodalizio umano e professionale la chiave per riuscire ad emergere e vivere della propria passione. La loro storia personale e musicale diventa una serie tv in otto episodi per Sky
È il mix che fa sempre la differenza. L’equilibrio tra gli ingredienti che rende un racconto centrato, efficace, a fuoco. Hanno ucciso l’Uomo Ragno – la leggendaria storia degli 883, serie tv in otto episodi realizzata da Sky Studios e Groenlandia (disponibile su Sky e Now), ha questo come principale pregio. È una serie in cui tutto è al suo posto, “tutto va come deve andare”. Narra della parabola umana e professionale degli 883, raccontati (soprattutto) nei loro inizi e in particolare mettendo al centro la storia di amicizia tra Max Pezzali (Elia Nuzzolo) e Mauro Repetto (Matteo Oscar Giuggioli), compagni di scuola nell’anno della maturità a Pavia. Repetto è eccentrico, pieno di spinta propulsiva e determinato a vivere di musica. Max è più gregario caratterialmente ma la passione per la musica lo porta dove non avrebbe mai creduto di arrivare. Il loro rapporto vive di alti e bassi, enfatico e fatto di liti come solo l’amicizia adolescenziale sa esseere. I due – dai caratteri in qualche modo complementari – riescono spesso a superare le criticità, grazie al desiderio comune che li abita: vivere di musica. L’innesco per la prima canzone degli 883 è dettato dalla voglia di fare colpo su una ragazza – Silvia - che sfida Max a dedicarle un pezzo.
Arriva poi l’incontro con Claudio Cecchetto che sarà per loro il primo grande punto di svolta professionale, in una carriera che si velocizza e che li porta a raggiungere un’enorme popolarità. Il Festivalbar, Jovanotti, Fiorello e la De Filippi, il pop anni Novanta fatto di moda colorata e musicassette. In questo mondo estetico e narrativo si muove con agilità Sydney Sibilia, regista e autore della serie (insieme a Francesco Agostini, Chiara Laudani e Giorgio Nerone), che già molte volte si è soffermato sul mettere in scena quegli anni. La pasta visiva – e la palette cromatica – della serie è ormai un suo marchio di fabbrica in cui l’estetica pop si raccorda a toni saturi e ambrati. Hanno ucciso l’Uomo Ragno da questo punto di vista è anche una serie nostalgica, nel senso che mostra gli anni Novanta nella sua estetica più popolare, dagli abiti ai programmi tv, passando per il Game Boy e un mondo pre-cellulari. Non si indugia però troppo nel mondo del passato ma la narrazione si arricchisce di emotività e leggerezza. Max e Mauro sono prima di tutto due amici, c’è in loro la genuinità e la spontaneità di due ragazzi di provincia animati da un grande desiderio. Non sono due underdog, sono semplicemente due ragazzi normali, comuni che hanno trovato nel loro sodalizio umano e professionale la chiave per riuscire ad emergere e vivere della propria passione. Sono popolari, nel senso più ampio e inclusivo del termine. La loro parabola è coinvolgente perché le canzoni degli 883 sono state la colonna sonora di intere generazioni. Forse proprio per quell’equilibrio – sempre leggero – tra racconto della propria realtà ed elementi più aspirazionali. Hanno ucciso l’uomo ragno è una serie dritta, lineare. Che restituisce per immagini il già saputo, quegli “anni in motorino sempre in due”.
Qual è il tono della serie in due battute?
“Otto mesi non sono niente. Eppure si può perdere un amico”.
“Qui io avevo un senso”.
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