Anthony Neste/Getty Images 

il segreto del successo

Effetto Sopranos. La “nouvelle vague” del piccolo schermo

Vittorio Bongiorno

A 15 anni dall’ultimo episodio, quella sul boss in psicoanalisi resta la serie più rivoluzionaria. Un libro svela i segreti della sceneggiatura

Dice che la notte prima di morire a soli 51 anni nel 2013, in vacanza a Roma con il figlio, l’attore James Gandolfini si era fatto fuori al ristorante dell’hotel otto drink, quattro shot di rum, due Piña Colada, due birre, una doppia porzione di frittura di pesce con molta maionese e un grande piatto di foi gras. E il suo cuore ha fatto crack, mettendo fine alla vita di un bravo ragazzone del New Jersey, caratterista di lusso per molti film di successo fino all’incoronazione come volto e corpo di quell’indimenticabile boss della mafia, Tony Soprano, che va in analisi per sconfiggere gli attacchi di panico.


Nata dalla geniale penna dello sceneggiatore David Chase, al secolo Davide DeCesare, italoamericano pure lui, “The Sopranos” è ritenuta unanimemente la serie tv migliore di tutti i tempi, l’inizio della cosiddetta terza “golden age” della televisione americana cominciata grossomodo alla fine degli anni 90 e durata fino a oggi. E dice che inizialmente Chase aveva pensato a Robert De Niro per farci un film, ma questa “nouvelle vague” del piccolo schermo ha preso forma solo quando il suo ideatore ha adattato il personaggio del boss depresso e sensibile, oltreché naturalmente violento e razzista, al volto malinconico e al corpo possente di James Gandolfini. Se Shakespeare vivesse oggi avrebbe ideato “The Sopranos”, che è stata definita dal New York Times “la più grande opera della cultura pop americana dell’ultimo quarto di secolo”. Andata in onda sul network americano via cavo a pagamento Hbo dal 1999 al 2007, 86 episodi per 6 stagioni, “The Sopranos” riesce in un’impresa epocale: innalza gli standard produttivi, e di conseguenza gli investimenti da parte dei network e, contemporaneamente, porta l’estetica della tv ad assomigliare sempre di più al cinema. La “televisione di qualità” permette agli autori di osare con forme narrative inedite e a volte sperimentali (già in passato David Lynch con “Twin Peaks” o, in tempi più recenti, “Lost” e “Breaking Bad”) ma, allo stesso tempo, permette ai network di intercettare pubblici disposti a pagare per avere prodotti evoluti, contrapponendosi alla tradizionale modalità di sfruttamento pubblicitario che interrompe in continuazione i programmi della tv generalista. Nonostante Martin Scorsese, il Maestro indiscusso del “mafia movie”, abbia dichiarato di aver provato più volte a “entrare nella storia” senza mai riuscirci, la potenza di fuoco della scrittura e della messa in scena di questa serie davvero unica hanno reso David Chase una specie di Re Mida della tv.

 

Tutto questo e molto altro lo si legge con gusto nel libro “The Sopranos. Creata da David Chase. Analisi della struttura drammaturgica della serie”, scritto da Franca De Angelis e Damiano Garofalo appena uscito nella collana “Drama” per Dino Audino Editore. Già trent’anni fa l’intraprendente editore romano aveva fondato la rivista Script (pubblicata dal 1992 al 2011) con l’intento di rimettere al centro dell’attenzione il lavoro degli sceneggiatori, sia di cinema che di tv, le loro abilità drammaturgiche di moderni raccontastorie. Qualche giorno fa, sempre su queste pagine, Andrea Minuz (che insieme a Stefano Locatelli dirige proprio la collana “Drama”) ha scritto che quella di Audino è una rivista che “viene dal futuro”. E che “la regia è un iceberg e la parte importante sta sotto; la convinzione che gli sceneggiatori sono i veri creatori del film o almeno che senza una buona sceneggiatura non si va molto lontano; che il cinema è uno sport di squadra e il film un prodotto pensato in funzione di un investimento e di un mercato, non il trastullo narcisistico di registi presuntuosi che giocano a fare Cassavetes con i fondi pubblici”. Pungolato sull’argomento, Audino in persona commenta con il giusto orgoglio che “la collana ‘Drama’ è rivoluzionaria dal punto di vista accademico ed editoriale. E’ la prima volta che si pubblicano insieme i classici del teatro, cinema e televisione, sostenendo che la drammaturgia è una. Una sola. Inoltre si fa un’analisi strutturale del testo alla maniera del nostro Corso. Due cose che, come ovvio, procurano l’orticaria ai nove decimi degli accademici di settore”.

  

Gli attori Steve Van Zandt, James Gandolfini, Michael Imperioli e Vincent Pastore della serie TV The Sopranos (Foto di Anthony Neste/Getty Images) 
     

Quando, una quindicina d’anni fa, io stesso partecipai al Corso di alta formazione Rai/Script, ebbi la sensazione di essere testimone di un approccio alla narrazione davvero unico: ogni notte studiavo testi rivoluzionari di sceneggiatori e deus ex machina hollywoodiani che avevano smontato e rimontato i grandi film di successo planetario (Linda Seger, Robert McKay, John Truby, la mitica Dara Marks, il “filosofo” Chris Vogler), e al mattino mi prendevo le lavate di testa di Dino Audino che mi spingeva a scrivere “sempre meglio”. In modo da affilare sempre di più gli strumenti dell’artigiano della sceneggiatura. E, come scrive Minuz, per “rimettere al centro del processo produttivo il copione”. Che è poi il segreto del successo di tanto cinema e soprattutto delle serie tv americane da “The Sopranos” in poi.


“Quando partecipai la prima volta, fui molto sorpreso dal metodo”, racconta a “Script” nel 2007 Matthew Weiner, sceneggiatore di “The Sopranos” e ideatore dell’altra serie pluripremiata “Mad Men”. “All’inizio David [Chase] aveva la mappa di tutte le tredici puntate della serie divisa per episodi e per personaggi, in pratica quello che a grandi linee sarebbe dovuto accadere. Ovviamente, gli eventi non rappresentavano la trama di ogni singola puntata. E’ che una volta che hai individuato i punti focali per ogni personaggio, poi li devi inserire e far evolvere via via attraverso tutto l’arco delle puntate”. Sul rivoluzionario metodo di scrittura gli fa eco il braccio destro Terence Winter, sceneggiatore e ideatore, tra le altre cose, dell’altro gioiello seriale “Boardwalk Empire” (la cui puntata pilota è di Scorsese), “Tulsa King” e “The Wolf of Wall Street” (sempre per Scorsese): “Le scalette non vengono fatte leggere al committente. Nessuno inizia a scrivere nemmeno la scaletta prima che David sia certo che tutti abbiano capito bene di cosa parla la storia. La puntata non parte finché David non si alza, si avvicina alla lavagna pulita e inizia a scrivere la scaletta. Questo succede dopo giorni, a volte settimane di discussioni attorno al tavolo. Solo a questo punto, quando tutto è chiaro a tutti, cominciamo a scrivere noi”.


Da sempre siamo affascinati dai cattivi, dalle biografie dei criminali, dal lato oscuro dell’animo umano, ma l’impresa straordinaria di David Chase è stata quella di proporre a un pubblico relativamente giovane (sotto i quarant’anni), urbano, agiato, tendenzialmente liberal e di istruzione medio-alta, un prodotto narrativo multilivello e stratificato di grande qualità che si differenziava in modo netto dall’offerta dei network generalisti. Per di più mescolando il genere mobster (di cui Coppola e Scorsese sono stati i “padrini” al cinema) con il genere family. L’impresa, sulla carta, era potenzialmente rischiosa, ma il risultato è stato esplosivo: l’episodio pilota dei “Sopranos” è andato in onda per la prima volta su Hbo (acronimo di Home Box Office, in pratica la tv via cavo portata a casa con un decoder) il 10 gennaio 1999 e ha riscosso così successo da permettere a Chase di produrre tutti gli episodi delle sei stagioni nelle vesti di showrunner (lo sceneggiatore che scrive e segue nella fase realizzativa tutta la serie, che corre praticamente tutto il tempo) arrivando a toccare vette di 14 milioni di spettatori, su un totale di 30 milioni di abbonati. I concorrenti Abc, Bcs e Nbc si mangiano il fegato per aver rifiutato il progetto pilota, mentre Hbo fa il colpaccio, conoscendo bene il proprio pubblico e permettendo agli sceneggiatori di poter sviluppare ogni episodio senza interruzioni pubblicitarie che avrebbero spezzato il ritmo della narrazione, assomigliando così sempre più a un film. La prima stagione viene girata con budget di 2 milioni di dollari a episodio, con un picco di 4 milioni, e grazie a un approfondimento psicologico mai visto prima di allora nel piccolo schermo si ha la sensazione di poter partecipare al crimine, o di esserne complice, stando comodamente seduti sul divano di casa. “Grazie alle sedute analitiche, e dunque in virtù della mediazione della dottoressa Melfi, entriamo lentamente all’interno della coscienza di Tony”, scrive Damiano Garofalo nell’introduzione al libro, “attraverso questo viaggio introspettivo viene messa in discussione la sua stessa immagine iniziale di apparente nichilista da manuale. Tony è sì un criminale, ma è pur sempre un uomo in crisi d’identità che ha paura di perdere potere, autorità e autorevolezza”.


Chi ha la fortuna di non aver mai visto la serie, oggi ha la possibilità di godersi, una per una, le lente e solenni inquadrature della prima scena: Tony osserva una statua di donna nuda nella sala d’attesa della sua analista. Sembra inquietato dallo sguardo severo della statua, forse addirittura intimorito dai suoi capezzoli turgidi. E’ nervoso. Una elegantissima e bellissima Lorraine Bracco (protagonista di “Quei bravi ragazzi” di Scorsese, insieme ad altri 26 attori dello stesso film chiamati anche per “The Sopranos”) lo fa accomodare su una poltroncina, ma lui sbuffa. Non parla. Si guarda intorno persino un po’ scocciato. Jennifer Melfi gli dice che il suo medico di famiglia le ha riferito che lui è collassato, probabilmente per un attacco di panico, e Tony la stoppa immediatamente per mettere le cose in chiaro: “Loro hanno detto che era un attacco di panico. Gli esami del sangue e neurologici sono risultati negativi. E mi hanno mandato qui”. Come a dire: io sto benissimo, non ho bisogno di cure. Il classico “rifiuto della chiamata dell’eroe” raccontato bene ne “Il viaggio dell’eroe” da Christopher Vogler, vera e propria Bibbia per gli sceneggiatori. E poi, magicamente, superata l’esitazione iniziale e la normale diffidenza di essere di fronte a una strizzacervelli, per giunta donna, sexy e italiana (e forse proprio per tutti questi motivi), Tony comincia a raccontare i suoi traumi, le sue paure, i suoi sogni. A partire dalla geniale scena che varrebbe, da sola, un premio Oscar al suo inventore: l’arrivo delle anatre selvatiche nella piscina della villa del boss a cui lui, gangster depresso e senza veri amici, dà da mangiare buttandosi in acqua in vestaglia come se fosse tornato bambino.


“Non pensavo che ‘Sopranos’ avrebbe tracciato un nuovo corso, volevo solo avvicinarmi il più possibile al cinema”, ha detto Chase a Jeremy Egner sul New York Times nel 2019, “odiavo le pubblicità e il modo in cui interrompevano tutto. Volevo rallentare il ritmo dell’episodio o accelerarlo, come ci piaceva. Volevo creare personaggi che sembrassero persone vere e che si comportassero come le persone, cosa che non vedevo in televisione”. “The Sopranos” è, dunque, una storia di mafia, una storia di una famiglia (la gang e i famigliari di Tony), una storia d’amore impossibile (tra lui e la dottoressa Melfi), e persino un vero e proprio trattato di psicologia sociale (Tony e tutti noi). Chi la guarderà oggi per la prima volta scoprirà una rivoluzione copernicana della tv senza la quale buona parte delle serie attuali non sarebbero possibili. Se è vero che ancora oggi, a distanza di più di quindici anni dalla messa in onda dell’ultimo episodio, fan di tutto il mondo commentano sui social l’ultima scena dell’ultima puntata letteralmente scioccante: “E’ l’esempio perfetto di morte. Improvviso o incombente”, scrive @richbattaglia5350. “Mi ha commosso fino alle lacrime. Non riesco nemmeno a dirlo a parole per quanto sono scosso da un finale del genere”, dice @axenzet9985. E: “La migliore scena nella storia della tv, o almeno una di queste. E’ stato così epico che i miei amici stavano smontando il decoder via cavo” commenta @actuallynotsteve.


A David Chase saremo sempre grati per aver osato dove nessun altro è riuscito. Quanto a Tony Soprano, per dirla con Steve Schirripa, il corpulento attore che interpreta il cognato Bobby Baccalieri detto Baccalà: “Sento che Tony Soprano è vivo e vegeto e vive in New Jersey”.