L'identiki

È l'ospite che fa la tv

Andrea Minuz

Catalogo dei personaggi che ogni sera animano i talk-show. Con la cultura o il manganello. È lì che il trash sopravvive

Si potrebbe immaginare un gioco da tavolo, di quelli che usavano nel Novecento, una specie di “Indovina chi” dell’ospitata televisiva. Una mappatura, una cartografia, un vasto, ragionato catalogo di ruoli, skills, identità che l’ospite è chiamato a ricoprire per tenere in piedi il palinsesto della tv generalista. Una tv forgiata dagli ospiti, ognuno con la sua parte assegnata. Una maschera, un “tipo”, un complesso di tic, come nelle grandi macrocategorie di Orrin Klapp, “heroes, villains, and fools”. Ospiti d’occasione, ospiti stagionali, ospiti in servizio permanente, ospiti piazzati da giornali e agenzie (l’ITC 2000 di Caschetto, la Visverbi di Milano, nata da una costola di Caschetto, che gestisce tutto un fitto traffico di giornalisti che ambiscono al grande salto, dalla redazione al salotto). Ospiti gratis, pagati, sottopagati, pagati troppo, sempre con polemiche a seguire sui compensi. Ospiti a gettone: 1.500 euro a botta, come quelli pagati da Bianca Berlinguer ai suoi fedelissimi, cachet che crea scompiglio e malumore tra i retequattristi in servizio permanente, operai “full time” dell’opinionismo di destra, che come da modello Cairo, ricevono in compenso solo buoni-taxi (chissà non entrino in sciopero, accodandosi agli sceneggiatori americani, stressati più che da chatbot e algoritmi dalla tariffa di Mauro Corona). Ospiti liberi di andare a braccio. Ospiti a getto continuo. Ospiti minacciati da influencer e TikToker che però sotto sotto aspirano a finire pure loro in tv. 

  

Ognuno ha la sua parte assegnata. Una maschera, un “tipo”, un complesso di tic, le macrocategorie di “heroes, villains, and fools”

   

L’ospite culturale, per esempio, impreziosisce uno show trash o pecoreccio, portando ironia, spessore, contenuto. Ecco Antonio Caprarica nel cast di “Ballando con le stelle”, dove giura indomito: “Non mi vedrete mai senza cravatta”. S’immaginano quindi anche giacca, foulard, nodo Windsor, svolazzando su una coreografia posticcia, con la silhouette cartonata di Buckingham Palace, Big Ben, Trafalgar Square. Caprarica che balla il foxtrot tra Wanda Nara e Rosanna Lambertucci, Lino Banfi e Teo Mammucari, è il valore aggiunto, segno di una sintonia possibile tra cultura e pancia del paese, garante di contiguità e sconfinamento tra pensatoio e ballatoio, tra la galassia dei talent e l’opinionismo politico. Una parabola, la sua, abbastanza classica. Un bildungsroman che si ripete sempre uguale per la generazione “Lotta Continua”, che resta una delle grandi startup del paese, l’unico ascensore sociale ad aver funzionato davvero. Come Mughini, già passato da “Ballando”, e in attesa ora di entrare nella casa del “Gf”, Caprarica è stato molto a sinistra: movimentista, sessantottino, militante di Unità Proletaria, poi comunista a “L’Unità”, quindi concorsone in Rai, cantore della monarchia british, dandy di Viale Mazzini, viveur cosmopolita, infine opinionista liberale in tv, e ora ballerino per Milly Carlucci, anche se “mia moglie era fermamente contraria”. Non per un qualche danno d’immagine o abbassamento del livello culturale, ma “perché ha paura che mi possa far male, che mi rompa qualcosa” (che è in effetti un classico del format pericolosissimo di Milly Carlucci).

  

Caprarica a “Ballando con le stelle” come Mughini al “Gf”, entrambi molto a sinistra in gioventù. L’implacabile vendetta del pop

  

E’ questa l’implacabile vendetta del pop dopo anni di sdegno, radicalismi, snobismi. Non perdona nessuno, specie gli ex-militanti. L’ospite culturale, che adorna di pensiero il ballo di “Ballando” o il nulla del “Gf”, non andrà confuso con l’ospite intellettuale dei talk-show. In cima c’è Sgarbi, naturalmente, come impareggiabile “fool” della bellezza e del turpiloquio, inclassificabile, imprendibile, “più oltre”, capace però di infiammare il programma e il dibattito più insulsi. Massimo Cacciari, che intimorisce con citazioni alte, Weber, Heidegger, e ai tempi dei collegamenti da casa su Zoom sfoggiava grandi tele “informali” di Emilio Vedova alle sue spalle. Da un po’ si fa largo in quota intellò Ginevra Bompiani, signora molto chic, ex-moglie di Giorgio Agamben, amica di Luciana Castellina, foucaultiana, in piena sintonia coi populismi anti-establishment. All’ospite intellettuale il compito di immergere il tema del giorno in un oceano di echi, richiami, corsi e ricorsi storici (qui entra di solito in gioco Paolo Mieli). Ma anche di andare a ruota libera e cazziare all’occorrenza gli altri ospiti che stanno lì in rappresentanza d’altre quote: politica, società civile, imprenditoria. In una mappa sbrigativa dei tipi e delle maschere dell’ospitalità televisiva è certo essenziale, per l’algoritmo dei talk-show, l’ospite “manganellatore”. Aizzatore, abile creatore di risse, sprezzante, riconducibile in genere alla galassia “Libero-La Verità – Il Giornale”, l’ospite manganellatore serve sempre, specie durante le emergenze, come ora con l’“invasione dei migranti”, dove sarà spalleggiato dall’ospite complottista, quello che spiega che i migranti ce li manda apposta la Germania. Alessandro Sallusti ha iniziato la sua scalata televisiva da buon “manganellatore”, specializzato in litigate e abbandoni furibondi del collegamento con la trasmissione.

  

Borgonovo è tutto sommato giovane, ma in tv usa la tecnica vecchia scuola: parlare sistematicamente sopra l’interlocutore

   

Ma da capofila dell’avanguardia conservatrice si è poi imborghesito, placato, anche un po’ stancato forse (meglio una lunga, riflessiva intervista-saggio con Giorgia Meloni per Rizzoli, ideale strenna di Natale insieme al libro di Vespa). Sallusti sta sempre in tv, ma s’infiamma un po’ meno. E’ chiaro che il suo erede, l’attor giovane che sale alla ribalta, è Francesco Borgonovo. Uno che si è fatto le ossa a Telelombardia e nei talk del mattino, vicedirettore de “La Verità”, scrittore-saggista-giornalista che nel curriculum vanta anche l’ideazione de “La Gabbia” per Gianluigi Paragone. Ospite manganellatore par excellence, Borgonovo veste i panni del patriota-conservatore in salsa vagamente british. Uno di quei “tory” di cui tanto vorrebbe circondarsi Giorgia, ma che ancora in giro non si vedono (pallido, etereo, un ché di gotico-medievale, un crociato della bassa padana, perfetto per l’immaginario tolkieniano di Palazzo Chigi). Borgonovo veste quasi sempre black-suit o tetri completi grigi, gilet, panciotto, cravatte old-fashioned, più raramente principe di Galles. Nei collegamenti in video con libreria d’ordinanza alle spalle s’intravedono biografie di Caterina De’ Medici e fascicoli di “Arbiter”, storica rivista dei nostri thirties dedicata a “piaceri e virtù maschili”, quindi “orologi, fumo, design, viaggi e ben vestire”. Altre volte, un’enigmatica e inquietante tenda rossa alle spalle, forse il sipario di un piccolo teatro da camera, dove si esibisce in atti unici per pochi intimi. Borgonovo è tutto sommato giovane, ma in televisione usa la tecnica della vecchia scuola: parlare sempre, sistematicamente, sopra l’interlocutore. Tono monocorde, senza impennate né uscite sguaiate, poche incandescenze.

  

E’ raro abbandoni lo studio. E se capita, esce di scena comunque con garbo e compostezza: “Mi interrompete di continuo, arrangiatevi, arrivederci”. Da buon conservatore odia e disprezza particolarmente i giovani. Agli occupanti della “Sapienza”, tornati proprio in questi giorni in tenda, Borgonovo riserva facce sdegnate e schifatissime, come un Roger Scruton scaraventato all’improvviso nel mercatino etnico di un centro sociale. Borgonovo è quindi un manganellatore implacabile proprio perché, di fondo, resta sempre calmo. Un molosso. Sguardo vitreo, pupilla piccola, vagamente sadica. Borgonovo è la goccia che perfora la pietra. Ha anche un suo canale su YouTube e una finestra fissa, “Orsobruno”, su Byoblu, la tv dei cittadini complottisti, dove nessuno lo interrompe, ma dove non può interrompere nessuno, quindi lo spettacolo è un po’ meno divertente. Insieme a Capezzone, altro grande specialista dell’assalto verbale e gran manganellatore retequattrista, Borgonovo è forse il migliore oggi in circolazione: rapido, efficace, implacabile, senza emozioni. Va detto che, volendo, si può diventare manganellatori all’occorrenza, quando serve, in mancanza dell’ospite adatto: vedi, per esempio, l’imboscata-agguato da sinistra di Gruber e Massimo Giannini alla povera Elly Schlein. 

 

Simmetrico e opposto al manganellatore, è l’ospite chiamato per fare melina, cincischiare, allungare il brodo. Con le durate mostruose dei nostri programmi, una figura fondamentale. Portatore di un flusso indistinto di opinioni, sentito dire, analisi a braccio che intorpidiscono e ottundono lo spettatore, l’ospite cincischiatore sbrodola, varia, svisa, riempie i buchi della trasmissione, dilata i tempi televisivi. Incarnazione simpatica, benevola, strapaesana di questo modello è per esempio Pierluigi Bersani, ospite fisso a “DiMartedì”, messo sotto contratto da Floris naturalmente con salario minimo. Bersani è ormai il suo “personal Mauro Corona”, sostituendo così l’ex sparring-partner Alessandro Di Battista, strizzato da Floris per almeno tre stagioni di fila. Bersani in intervista singola da Floris, solo loro in studio, come nell’ultima puntata, e non sai più chi dei due è l’ospite, chi il conduttore. Ospite-opinionista fregnacciaro, nella variante grezza, montanara o “capraio afghano” (cit.) è Mauro Corona, principe della dialettica intorcigliata e del parlare tanto per non dire nulla. Presenza fissa, mascotte di Berlinguer, che all’occorrenza diventa anche ospite-marchetta, con l’ultimo romanzo in bella vista sul tavolo, in una stupenda myse-en-abyme, Mediaset-Mondadori.

  

Quelli tra gli opinionisti di destra e gli attivisti di “Ultima generazione”, ragazzetti etnochic che partono a testa bassa, sono tra gli scontri più belli

  

L’ospitata di governo è invece una specialità di Paolo Del Debbio, se naturalmente il governo è di destra (di Fazio, vecchia maniera Rai Tre, se il governo è di sinistra). A “Diritto e rovescio”, ecco sfilare nell’ordine, in quattro puntate, come in uno stand di Atreju: Antonio Tajani, Giorgia Meloni, Francesco Lollobrigida, Matteo Salvini. Ospite tuttologo, nutrimento del dibattito con licenza libera su tutto (migranti, Lucio Battisti, manovra economica, condoni, superbonus, rigori della Juve) è naturalmente Andrea Scanzi. Mentre Travaglio è ospite superstar, presenza fissa, incrollabile, teatrale, incorniciato nel tabellone rosso del “Fatto” probabilmente anche mentre guida la macchina. Salgono nel frattempo le quotazioni dell’outsider-jolly Stefano Bandecchi da Terni, ospite ideale dopo l’exploit della rissa con schiaffi e spintoni in giunta comunale. Una creatura televisiva già matura, ingaggiata da Porro, Del Debbio, e ancora prima da Formigli, che c’ha creduto subito (dobbiamo del resto a Formigli anche la scoperta di un fuoriclasse come Orsini). Con l’ecoansia, non mancherà di tanto in tanto un ospite di “Ultima generazione” in studio. Ecco Chloé Bertini, giovane, caruccia, ambientalista, ecoattivista e imbrattatrice di monumenti, indomita rappresentante di una protesta che “deve essere insopportabile”, sdraiandosi per esempio con amici e amiche sul Grande Raccordo Anulare.

Non sa se avrà figli perché “un quinto dell’Italia è a rischio desertificazione”, si trova insomma molto male in questo mondo, ma ha capito subito come funziona la tv. Ospite in studio da Formigli per un confronto col geologo Angelo Prestininzi (fiancheggiato dal manganellatore Borgonovo), Chloé Bertini si stufa, molla il microfono, si alza, va via con consumato gesto plateale. Poi però torna indietro e precisa: “Già facciamo fatica in quanto umanità a riconoscere e a elaborare il lutto che dobbiamo vivere perché la vita che facciamo adesso non ci sarà più”. Formigli prova a fermarla, ma non c’è niente da fare. Quelli tra Borgonovo e gli attivisti di “Ultima generazione”, ragazzetti etnochic che partono sempre a testa bassa, una tiritera senza pause, senza accenti, sguardo un po’ invasato, proprio come lui, sono tra gli scontri più belli. Borgonovo è spesso costretto a doppiarli, a parlare sopra quelli che gli parlano sopra: “Voi-siete-incapaci-di-dialogare-voi-siete-incapaci-di-dialogare”. Poi però trova uno spazietto, infila l’affondo, prende fiato, scandisce: “Siete la malattia senile del progressismo”. Sipario. E’ in effetti una manna per i talk-show questa campagna anti-trash. L’ondata moralizzatrice s’abbatte furibonda su gossip, rotocalchi, reality, ma lascia la telepolitica quotidiana libera di sguazzare e rimestare come meglio può. Se allo spettatore manca il trash, sa dove trovarlo. A Hollywood è finito lo sciopero, gli sceneggiatori riprendono finalmente a scrivere anche gli show televisivi (ritmo, idee, spettacolo). Da noi nessuno se ne accorgerebbe. A meno che a dimettersi in massa non siano gli ospiti.

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