In tv e in rete il virus ha rubato la scena alla pubblicità. E i marchi si adeguano

Michele Boroni

Il gorilla del Crodino che dispensa abbracci e le ricette delle penne lisce della De Cecco

Milano. In questi tempi di coronavirus, l’informazione da una parte e l’intrattenimento dall’altra hanno un ruolo importante e vitale, ed è per questo che nelle ultime settimane i numeri di contatti verso old & new media è cresciuto rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Gli utenti unici giornalieri dei principali siti di informazione sono esponenzialmente cresciuti (dato Audiweb, venerdì 28 febbraio: più 48 per cento rispetto a venerdì 14) come pure il numero di sessioni totali (più 63 per cento rispetto a due settimane prima), a dimostrazione di una frequenza di accesso elevata nel corso della giornata per verificare aggiornamenti in tempo reale sulle principali testate. I social hanno visto un aumento di contatti, specialmente Twitter. Anche il numero di persone davanti alla tv è aumentato (poco più di un milione secondo le rilevazioni Auditel) con l’attualità che ha avuto il 17 per cento in più di spazio nella settimana dal 21 febbraio all’1 marzo rispetto ai dieci giorni precedenti.

 

In periodi come questi, il puro dato quantitativo può essere deviante, specie se si vuole analizzare quell’interstizio fondamentale che alterna e spesso interrompe la lettura e la visione delle notizie e degli show, ovvero la pubblicità. In questo periodo quindi il numero di “teste” cresce , ma l'“attenzione”, che è la vera merce di scambio nel mercato pubblicitario, è meno focalizzata verso gli annunci, specialmente se si tratta di prodotti e servizi non di prima necessità per fare fronte all’emergenza. Per questo motivo, molti investimenti pubblicitari sono mutati, alcune campagne sono state momentaneamente bloccate, come per esempio quelle del settore viaggi. Altre legate a differenti categorie merceologiche nel campo alimentare più voluttuario hanno deciso di continuare a comunicare, come per esempio il Crodino, l’aperitivo analcolico che è tornato con uno spot realizzato in un periodo pre-coronavirus dove il testimonial gorilla invita tutti ad abbracciarci, e nel periodo del “metro di distanza” risulta un po’ straniante. Poi ci sono quei brand che continuano a fare quello che in gergo si chiama instant advertising, tipico delle piattaforme social che per anni è stata la grande chimera dei pubblicitari. Si tratta in pratica di campagne scritte al volo dai pubblicitari sfruttando la notizia o l’argomento che è il principale oggetto di conversazione sulle piattaforme social e in generale in rete, in modo che il brand entri a fare parte in modo quasi naturale del flusso del discorso, meglio ancora se utilizza un registro ironico e informale.

  

 

 

Ci sono marchi che hanno adottato questa modalità da molti anni, come per esempio la birra Ceres che anche questa volta per restare dentro allo stream ha creato una serie di post legati alla chiusura serale di molti bar e pub, luoghi eletti per il consumo di birra: in questo caso si tratta di un messaggio di resilienza (“Coraggio, l’Italia c’è anche a bar chiusi”) per diffondere la voglia di andare avanti e comportarci come una comunità in un periodo delicato come questo. C’è anche il caso di quelle aziende che in questo periodo si sono ritrovate nel flusso di conversazione e delle notizie e quindi hanno cercato di approfittarne con un messaggio in real time: è il caso della pasta De Cecco che, dopo le foto dei supermercati saccheggiati di ogni tipo di pasta tranne della tipologia “penne lisce”, evidentemente poco gradita al consumatore medio anche nei momenti di emergenza, ha creato una serie di post legati alla Cenerentola della pasta di semola, proponendo una serie di ricette che valorizzano la tipologia.
Perché ogni occasione è buona per comunicare e sostenere i consumi, anche le epidemie.

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