Foto LaPresse

Battute e bacioni da talk-show servono a sciogliere ghiacciai di violenza

Guido Vitiello

Come polli che si beccano. Etologia della nuova specie dominante

Quando i politici di professione furono soppiantati dai comici di professione, alcuni esemplari della specie sconfitta s’improvvisarono comici dilettanti per restare in scena o in Parlamento; altri, meno inclini al mimetismo, vissero il salto evoluzionistico come un oltraggio. “La politica è una cosa seria!”, li si sentiva sbottare. Meglio avrebbero fatto a capovolgere i termini del discorso e a riconoscere, semmai, che l’umorismo è una cosa politica. Sono sempre più persuaso che un’etologia della nuova specie dominante debba partire da questa constatazione, e lascio al lettore due rapide imbeccate. Anzi, due beccate.

 

L’osservazione delle società animali può rivelarsi imprevedibilmente utile. Per far capire chi comanda, uccelli di molte specie beccano il loro simile sulla cima della testa piumata o sulla cresta. Tra i polli, per esempio, si instaura una gerarchia rigidissima basata sull’“ordine di beccata”. C’è la gallina-despota, che becca chi le pare; sotto di lei ci sono quelle che possono beccare tutte le altre tranne l’intangibile sovrana, e magari occasionalmente si danno qualche colpetto tra pari; e in fondo alla gerarchia c’è la poveretta che le busca da tutte, e che avrà la testolina ridotta a uno scolapasta. Uno psichiatra della cerchia di Gregory Bateson, l’americano William F. Fry, in un geniale saggio di teoria dell’umorismo (“A sweet folly”, 1963) suggerì che gli esseri umani usano le battute grosso modo come i polli usano le beccate: per fissare gerarchie di potere e stabilire interazioni di aggressione-subordinazione. Il galletto in chief può prendere in giro chi vuole, e la risata degli altri membri del pollaio è un segnale non verbale di accettazione della sua posizione dominante. Può dirigere il traffico degli sghignazzi e indirizzarlo sull’uno o l’altro pollo disgraziato che ruspa alla base della piramide sociale, scatenando così trillanti pogrom di risate. E nessuno di quelli che ridono alle battute del pennuto supremo si azzarderà a ridere di lui. Ecco, il lettore provi ad applicare l’intuizione etologica di Fry ai nuovi esemplari della fauna politica, ricordando che il grosso delle loro interazioni avvengono su un social network che ha come simbolo un uccellino blu dal becco aguzzo.

 

A differenza delle società di uccelli, dove l’ordine di beccata serve a sancire gerarchie pressoché immutabili, le società umane hanno una storia. E i futuri etologi della politica dovranno considerare le cose anche sotto l’aspetto dinamico, descrivere cioè il processo generale che le risate favoriscono e accompagnano. A questo può servire un altro piccolo classico di psicologia dell’umorismo, “Beyond laughter” (1957) dell’americano di origini tedesche Martin Grotjahn, psicoanalista fedele alla lezione di Freud. La materia prima della comicità è la violenza, estratta e raffinata dal “lavoro umoristico” fino a renderla irriconoscibile. Un tempo ci saremmo picchiati senza remore, ma il disagio della civiltà ci ha spinti a dissimulare il desiderio di aggressione sotto l’aspetto innocuo di una battuta di spirito. Ridendo abbiamo il sollievo di liberare l’aggressività in una forma legittima. Ma è un equilibrio instabile: se il mascheramento non è fatto ad arte, se quella torbida materia prima non è elaborata a sufficienza e si rende troppo smaccatamente visibile, la risata è vissuta come un segnale di complicità, ed è più difficile ottenerla. Forse il lettore ha già capito dove voglio arrivare: il ricorso metodico alla battuta serve a sciogliere ghiacciai di violenza accumulata, per farla fluire in una forma socialmente accettata fino a premere contro un argine spostato ogni giorno più in là. Accade in America, accade in Italia.

 

E così, lontanissimi ormai i Witz andreottiani, abbiamo attraversato le successive tappe dello smascheramento, che ci hanno portati sempre più vicino alle radici inconfessabili del riso. Le barzellette di Berlusconi, i sermoni ghignanti di Travaglio, l’umorismo sadico-necrofilo di Grillo, e oggi le ridanciane chiamate al linciaggio di Salvini, nelle quali il magma dell’aggressività è ormai così vicino a eruttare che deve tapparlo alla bell’è meglio con una faccina felice, un occhiolino ammiccante, sorrisi, bacini, bacioni e altre smancerie. Così i polli che stanno immediatamente sotto di lui nell’ordine di beccata, specie gli opinionisti-coccodè che mettono becco nei talk-show, possono tener buona la loro cattiva coscienza – per poi appollaiarsi a dormire il sonno dei giusti.