L'incubo gialloverde in “A furor di popolo” di Ennio Amodio
La dea Giustizia vittima di due furie: l’Emergenza e l’Esasperazione
Se fossi un allegorista barocco, direi che la dea Giustizia è ostaggio delle due furie dell’Emergenza e dell’Esasperazione, madre e figlia, dalla cui congiunzione incestuosa si genera lo spirito di Sobillazione. Ma sono in ritardo di almeno tre secoli per questo genere di cose, e mi tocca imboccare la prosa di servizio. La logica dell’emergenza la conosciamo bene, da decenni di disavventure politiche e giudiziarie: è quella per cui lo stato, o un suo apparato, reclama poteri eccezionali per fronteggiare un fenomeno fuori controllo – mafia, corruzione, terrorismo – sacrificando una quota di diritti individuali. Erede populista della logica dell’emergenza è la logica (o la retorica) dell’esasperazione: una situazione scappata di mano – criminalità, immigrazione, degrado delle periferie, più spesso le tre cose insieme – legittima il cittadino onesto a prendere la legge nelle proprie mani, dal basso, con la benedizione dello stato. Qui i termini sono invertiti: anziché affermare il suo primato, l’autorità pubblica acconsente a cedere la sovranità punitiva al popolo. L’alleanza di Emergenza ed Esasperazione ha oggi un nome, Contratto di Governo, ed è effigiata sullo stemma dei nuovi regnanti sotto forma di due colori araldici, il giallo e il verde. In concordia discorde, conficcano i loro chiodi nella malandata culla del diritto, per farne una bara.
A far giustizia delle troppe sciocchezze impunite di quelli che, con ossimoro anch’esso da allegorista barocco, chiamerò Garantisti Salviniani (la palma va a Nordio, che delirò di “differenze ontologiche dei due soci di governo in tema di garantismo”) arriva in questi giorni un libro esemplare per nitore e coraggio, “A furor di popolo. La giustizia vendicativa gialloverde” (Donzelli) del professore emerito di Procedura penale Ennio Amodio. Esaminando il contratto di governo, i programmi elettorali, i provvedimenti finora approvati, la prassi politica e il variopinto repertorio delle gride, Amodio giunge a un verdetto implacabile: è in atto un grandioso falò dell’illuminismo giuridico, tale da scuotere i tre pilastri della civiltà penale moderna: razionalità, proporzionalità, dignità umana. L’indagato diventa un nemico del popolo, e la spada della legge è consegnata nelle mani impazienti della vittima sovrana. Lo statuto occulto dei gialloverdi è così esplicitato da Amodio: “La sovranità punitiva appartiene al popolo che, fuori del caso di tutela diretta del domicilio, la esercita a mezzo degli organi dello stato che applicano i criteri e i modi richiesti dal sentimento delle vittime dei reati, al fine di assicurare la massima sicurezza dei cittadini”.
E’ il frutto velenoso delle convergenze parallele tra le due famiglie dell’inciviltà giuridica, la gialla e la verde. Da un lato la legittima difesa sfigurata in vendetta domiciliare, ritorsione commisurata al risentimento per i torti subiti (non per nulla i banditori televisivi salviniani hanno cura di elencare le dieci o cento rapine già subite dall’uno o l’altro sparatore, come se ci fosse un nesso). Dall’altro “l’espandersi a dismisura della potestà repressiva dello stato, patrocinata dalla politica populista nel suo programma in cui campeggiano il panpenalismo, l’estremismo sanzionatorio e l’uso del carcere come strumento di elezione”. Se la seconda vocazione è più tradizionalmente autoritaria e in Italia ha i suoi antenati novecenteschi, la prima ne è agli antipodi, già che la cultura fascista contrastava ogni forma di giustizia privata che potesse ledere “il prestigio e l’autorità della polizia e della giurisdizione”. Ne deriverebbero, teme Amodio, conseguenze diverse: una catena di ritorsioni domiciliari in grado di affermare un codice parallelo di giustizia vendicativa. Per quel che contano i miei brividi di orecchiante, io temo di molto peggio: siamo ancora allo stato nascente, o se preferite in pieno processo rivoluzionario, con tutte le virgolette del caso, e bisogna osservare le cose sotto l’aspetto dinamico. Per un malintenzionato che volesse passare, per così dire, dalla fase-movimento alla fase-regime, la chiamata alle armi dei cittadini esasperati come avanguardia nella lotta al crimine sarebbe tutt’altro che contraddittoria, aprirebbe anzi a diverse opzioni autoritarie. E a ben vedere anche nella fase-regime potrebbe tornare utile, come insegna la pratica cubana degli “actos de repudio”, tanto per mettere il naso fuori dai patrii confini. Ma queste sono nebbie di incubi remoti: guai a noi se ci distogliessero dai due colori nitidissimi dell’incubo presente.
Antifascismo per definizione