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Contro le teste vuote della tv populista

Salvatore Merlo

L’ultimo guardiano di Arcore. Letta trattiene Berlusconi, pronto a cedere a Salvini su Foa. E la Rai ormai c’entra poco

Roma. In un gioco in cui lucidità e incoscienza coincidono, Matteo Salvini tiene il punto sul nome del presidente della Rai, che per lui deve essere Marcello Foa, malgrado i dubbi di Silvio Berlusconi e la bocciatura da parte della commissione di Vigilanza, una vicenda destinata a trascinarsi con il ritmo di una coda al casello sotto il sole di agosto, e ben oltre l’estate. E’ un gioco teso che non riguarda nemmeno tanto, non più, la trascurabile nomina del presidente della Rai, che non ha nessun potere, ma riguarda ormai le ambizioni di Salvini, l’amor proprio di Berlusconi e il futuro del centrodestra in Italia, con la sua natura e i suoi equilibri. Come diceva martedì al Foglio Giovanni Minoli, “ancora una volta quello che accade nella televisione di stato anticipa o ratifica i cambiamenti politici”. Così, su un divanetto di Montecitorio, Andrea Ruggieri, deputato di Forza Italia e membro della commissione di Vigilanza, offre una sintesi semplice e insieme quasi vertiginosa. “Salvini potrebbe voler rompere con noi e pensa di diventare capo di un polo del 35 per cento”, dice. “Almeno si fa chiarezza e noi andiamo all’opposizione con modi netti”.

 

D’altra parte, tra ottobre e novembre si votano le regionali, e per esempio in Abruzzo, “chi può escludere un’alleanza tra la Lega e il M5s?”, dice Giuseppe Bellachioma, deputato e segretario abruzzese del partito di Salvini. Chissà. Intanto ci si scambiano parole taglienti, si rimpallano i sospetti. In Aula i deputati della Lega votano con disciplina il decreto dignità di Luigi Di Maio, nessuno di loro interviene o prende la parola. Tutti zitti. “Siete affetti da tanatosi?”, gli urla, a un certo punto, Riccardo Zucconi di Fratelli d’Italia: “Fate come quegli animali che per evitare i predatori fingono d’essere morti”. Il centrodestra è una strana minestra i cui ingredienti si stanno degradando. Infatti, poco più in là, in commissione Agricoltura, il ministro leghista Gian Marco Centinaio si rivolge così a Francesco Battistoni, deputato di Forza Italia, amico di Antonio Tajani, che gli voleva fare delle domande, nell’esercizio del suo ruolo parlamentare: “Tu devi stare zitto. Stai zitto”. Bellicosità mascellari, vene gonfie, pugni sul tavolo, nervosismo.

     

E allora intorno a questo mondo inafferrabile che è la Rai, in questo deserto di idee in cui si muove la politica di Viale Mazzini, in questo tempo fermo e vanamente tumultuoso, mentre Forza Italia e Lega si misurano e litigano sul nome di Foa, e mentre la vicenda sembra destinata a durare a lungo – “da qui a settembre le riunioni della Vigilanza andranno tutte a vuoto”, dice Giorgio Mulè – ecco che qualcosa tuttavia accade e risveglia in Salvini il dèmone dell’ambizione: completare la presa del maniero, del Castello malmesso di Arcore. Soltanto che, di fronte al cancello, ormai scalcinato, c’è ancora un guardiano: Gianni Letta, che fermo nella sua dignità di sopravvissuto sembra combattere scandalizzato ma non rassegnato una guerra forse impossibile contro l’ordine nuovo.

 

E’ infatti Letta che considera inaccettabile l’imposizione brutale di Foa, considerato che i presidenti della Rai sono sempre stati condivisi se non addirittura affidati all’opposizione. Ed è Letta il primo ad aver capito che dietro il metodo di Salvini non ci sono ambizioni che riguardano la televisione, ma solo un’altra perla di quel collier di piccole provocazioni e umiliazioni che lentamente mirano a ridurre il Cavaliere all’irrilevanza. E infatti: “Il nome è Foa”, ha detto Salvini, prima di telefonare a Berlusconi, ancora ricoverato in ospedale, con una mossa che ha fatto così piacere al vecchio Cav. – pare – da averlo spinto a mormorare, col tono dolce di chi scaccia le paure e concilia i tormenti, che “in fondo si potrebbe anche accettare questo signor Foa”. Berlusconi è fatto così. Ma c’è Letta. Il guardiano. E non si passa. Non c’è trattativa o scambio possibile, a quanto dicono, nemmeno le vicedirezioni dei telegiornali, che alcuni leghisti, ieri sera, in una riunione, hanno provato a gettare nel piatto. “Sarebbe miserabile”, risponde Mulè. Così, alludendo proprio a Letta, Salvini ha aggiunto: “Forse c’è dentro Forza Italia qualcuno che ha altre aspirazioni. Si chiariscano. Noi dubbi non ne abbiamo, e nemmeno fretta”. Non ci sono precedenti di presidenti della Rai bocciati dal Parlamento, e ripresentati. Ma il gioco, evidentemente, non è più sulla Rai.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.