George Carlin (Wikemedia commons) 

cortocircuiti

Ora l'intelligenza artificiale copia anche le parolacce protette da copyright

Mariarosa Mancuso

La comicità dovrebbe essere il baluardo inespugnabile, la fortezza dove gli umani si ritireranno quando tutto intorno a loro sarà generato da sofisticate e superiori intelligenze. A raccontarsi barzellette, magari sconce.. Il caso del comico George Carlin sul podcast “Dudesy”

George Carlin è morto nel 2008. Lasciando in eredità un gran repertorio di battute spesso copiate (“ma si trattava di un omaggio, era una citazione”, abbozza solitamente il comico se qualcuno dice “plagio”). E le “Seven Dirty Words” che negli anni 70 era vietato pronunciare in televisione. Per dire: c’era anche “tits” – come nel grido di battaglia di Mrs. Maisel che dà una controllatina prima di salire sul palco: “tits up!”. 

Cose da poco, rispetto allo speciale di un’ora comparso su “Dudesy”, podcast di Will Sasso e Chad Kultgen: si presentano come l’avanguardia dell’intelligenza artificiale applicata allo spettacolo. Titolo: “George’s Carlin: I’m Glad I’m Dead”. I due dichiaravano che il lavoro era frutto dell’IA “nutrita” con gli spettacoli registrati in vita dal comico (“allenata”, se preferite). Fino a quando la figlia di George Carlin ha sporto denuncia alla Federal Court della California: “Non somiglia per niente a mio padre, e non avevate il diritto di saccheggiare materiale protetto da copyright”. 

Colpo di scena: gli autori del podcast Sasso & Kultgen hanno sconfessato tutto. Non è stata l’intelligenza artificiale, tutte le battute sono state scritte da Chalt Kutgen. Insomma, alla vecchia maniera. Imitando poi nel podcast la voce di George Carlin. Basterà la precipitosa marcia indietro a evitare la condanna? E a risollevare l’intelligenza artificiale dalla figuraccia? La comicità dovrebbe essere il baluardo inespugnabile, la fortezza dove gli umani si ritireranno quando tutto intorno a loro sarà generato da sofisticate e superiori intelligenze. A raccontarsi barzellette, magari sconce.

Non sappiamo se dire “le battute sono mie, e la voce di George Carlin pure” eviterà la denuncia per violazione di copyright, o rimane qualche altro attentato alla proprietà intellettuale – in gergo PI. Certo è che la marcia indietro ricorda il settecentesco “Turco giocatore di scacchi”. Era l’epoca dei primi automi – lo Scrivano, per esempio, seduto sullo sgabellino con la penna d’oca, capace di scrivere  40 caratteri su tre righe (assieme al cinema, sono le magie raccontate in “Hugo Cabret” di Martin Scorsese). 

Nel 1770 il barone ungherese von Kempelen regalò all’imperatrice Maria Teresa d’Austria un giocatore di scacchi “meccanico”, in grado di sfidare qualsiasi umano. Un Turco che giocava a scacchi, per essere precisi, con tanto di turbante a abiti adeguati. Vinceva (giocando con i bianchi e facendo la prima mossa). Portato in tournée per l’Europa e gli Stati Uniti ebbe un gran successo. Qualcuno cominciò a insospettirsi: dentro la macchina, oltre agli ingranaggi che venivano mostrati al pubblico meravigliato, c’era infatti un bravo giocatore, minuscolo abbastanza da spostarsi quando le porticine venivano aperte. Una per volta.

L’avvocato che cura gli interessi degli eredi Carlin sostiene che l’azione legale proseguirà, anche dopo la marcia indietro dei due falsari – non è chiaro se veritiera o strumentale, non c’è neppure la scappatoia della satira. La mossa riaccende il dibattito su una questione aperta. E’ lecito “allenare” i modelli di apprendimento linguistico dell’IA con materiali audio e video protetti da copyright? 

Lo scorso luglio Sarah Silverman aveva partecipato a una class action contro OpenAI e a un’altra contro Meta, accusando le aziende di violazione del diritto d’autore. Un gruppo di romanzieri – da Jonathan Franzen a John Grisham – ha fatto lo stesso a settembre, contro OpenAI. A dicembre è stata la volta del New York Times, che ha messo sotto accusa anche Microsoft, che in OpenAI ha investito parecchio. L’intelligenza artificiale copia, signora maestra. 

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