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Nei cieli dell'algoritmo con padre Paolo Benanti

Michele Masneri

Colloquio con il capo della Commissione Intelligenza artificiale, fresco di incontro a tre con Giorgia Meloni e Bill Gates

Ho appuntamento col frate più celebre d’Italia presso la Pontificia Università Gregoriana, la gloriosa università vaticana dove insegna. Padre Paolo Benanti, cinquantenne, è presidente di quella strana commissione voluta dal governo per studiare gli algoritmi e l’intelligenza artificiale. Successore di Giuliano Amato, dimessosi bruscamente, Benanti è fresco di incontro a tre con Giorgia Meloni e Bill Gates, il fondatore di Microsoft che è stato a Roma a parlare con la premier proprio di AI. Padre Benanti lo trovo sotto il severo porticato dell'università in una fredda sera romana, con atmosfera da Dan Brown.

 

Lui sta lì col suo saio che parla nelle sue auricolari Apple di ultimissima generazione. “Ahò, io te dico, a Roma capiscono, ma bisogna fallo capì pure a questi che  so del Wyoming”, dice al suo interlocutore. Padre, ma un frate con l’iPhone… “Ah non me ne parli. Metà dei frati son convinti che sia meglio Android, è un caos”. Come mai preferiscono Android? “Le icone sono diverse”, dice, entrando. Certo parlare di icone sotto le volte di questa grande università cattolica con un frate già è strano. Come mai lei sceglie iPhone  invece? “Ma non scelgo io, ce li passano col contratto aziendale, per partita Iva”, dice il frate. Ma quale azienda, scusi? “La casa provinciale francescana”. Padre Benanti oltre a essere  un francescano del Terzo Ordine Regolare  si occupa di etica, bioetica ed etica delle tecnologie e insegna a Roma e anche a Seattle; è consulente delle Nazioni Unite:insomma è un personaggione. Avevo provato a contattarlo sul suo sito molto tecnologico, dove campeggiano sue partecipazioni a TedX in perfetto inglese, e mi ha risposto non un umano ma un chatbot. Però poi il chatbot mi ha abbandonato. “Lo so, il chatbot non ti risponde più, non l’ho programmato benissimo, i messaggi vanno nello spam”, dice Benanti.  

 

Padre, ma Bill Gates non si è stupito di trovare un frate insieme al Presidente del Consiglio italiano? “Ma no, gli americani vedono di tutto, non si impressionano certo con un frate”. E Gates com’è di persona? Si dice che l’incontro sia stato freddo. “Ma no, è vero che non ha voluto foto, ma lui è fatto così. Che poi lui viene come rappresentante della Fondazione Gates, non come capo di Microsoft, non ne è più a capo da anni. Lì il grosso lo fa Satya”. Satya? “Nadella. L’amministratore delegato”. Ah certo. Conosce bene pure lui? “Mah, meno, poi lui è indiano, molto rigido”. Insomma, la casta, quella vera, mica quella italiana. E Bill? “E’ stato carino, mi ha detto: se vieni a Seattle viemme a trovà, senza sapere che io a Seattle ci vado sempre perché insegno lì”. Però niente a che vedere con Musk no? Il fondatore della Tesla e Meloni si son proprio presi. Ma come la mettiamo col famoso figlio nato con la surrogata? “E che non è figlio di Dio questo bambino pure se è nato surrogato?” dice padre Benanti.

 

Insomma, padre Benanti che da alcuni profili che avevo trovato in Rete mi figuravo come un frate cattivo da “Nome della Rosa” mi sembra piuttosto la bonaria continuazione di alcune grandi maschere della commedia all’italiana: don Camillo, naturalmente, ma anche padre Baldini dei “Complessi”, che consigliava Alberto Sordi-Dentone nella sua scalata al telegiornale Rai, e poi il prete strabico di “Un sacco bello”, con Mario Brega che lo chiama perché non riesce più a comunicare col figlio hippy (padre Benanti assomiglia tra l’altro un po’ a Brega fisicamente). Simpatico, tracce di accento ciociaro (è nato a Frascati nel ‘73) temprate dalla lunga frequentazione americana, alla fine ecco chi è: quel prete del film dei Vanzina, “Vacanze in America”. “E come no, don Buro”, fa lui; “chi se fa l’affari sua torna sano a casa sua”, imitando Christian De Sica alla perfezione. Padre, ma il gender? Ho letto che lei è attivista contro la dittatura gender. “Ma io sono attivista digitale veramente, non so dove abbiano trovato quella cosa. Io mi occupo di etica della tecnologia, in quello sì sono un attivista. Penso che il vero sostantivo sia la persona. La persona sta al centro. Può esserci accanto qualunque aggettivo: francescano, omosessuale, non cambia il sostantivo. Non c’è niente che  l’uomo possa fare perché perda la dignità”. Il papa quindi fa bene a benedire le coppie gay? “Il Papa accoglie tutti perché siamo tutti persone ”. Del resto Sam Altman, il papà di Open Ai, la più grande società al mondo di intelligenza artificiale, si è appena sposato col suo moroso. “Ah, Sam, spero che sia contento!”. Ma conosce pure lui? “Certo” (qui siamo passati direttamente a “Borotalco”). Ma alla fine il fondatore di Open Ai non si capisce se sia un eroe senza macchia, un Robin Hood della Silicon Valley oppure cosa. “Ormai ci sono interessi talmente enormi che è difficile capirlo, quando una compagnia cresce così tanto, ora vale 100 miliardi, è difficile gestire tutto. La sua idea originaria non prevedeva un’espansione così grande”. Uno degli allarmi più alti riguardanti l’intelligenza artificiale è l’uso del deepfake. “Già in America si stanno verificando finte telefonate che ti arrivano a casa con la voce registrata di Biden che invita a non andare a votare. E’ molto pericoloso, e coniuga una tecnologia molto vecchia come il robocall, la chiamata registrata, con l’intelligenza artificiale”. Lei quando è arrivato in America padre? “Ho fatto il dottorato di ricerca a Georgetown, era stato appena eletto Obama, c’era un entusiasmo…”. Padre, ma allora lei è di sinistra! “No, no” (qui sembra padre Pizarro fatto da Guzzanti). “Io sono, come possiamo dire…”. Liberal? “No”. Libertario? “Ma no… Attento al sociale, ecco”. Ma  non vuol dire niente. “No, no, vuol dire. Lei è stato messo lì dalla destra, nella sua commissione. “No, macché, io non sono né di destra né di sinistra”. Ma questo di solito lo dicono le persone di destra.

 

Vabbè. Come vede questi Stati Uniti alla vigilia delle elezioni? “Molto, troppo polarizzati”. I social stanno distruggendo l’umanità, padre? “Su questo sto scrivendo il prossimo libro. Stiamo entrando nel terzo decennio dei social. Finora ci son state due grandi stagioni: i primi dieci anni, diciamo dall’invenzione negli anni 2000, sono stati veicolo di libertà, e finiscono con piazza Tahrir. Nel 2010 Peter Thiel, finanziere e fondatore di PayPal, investe in Facebook e inaugura il decennio della monetizzazione. Il decennio della monetizzazione termina con l’assalto a Capitol Hill”. E i prossimi dieci? “Probabilmente saranno quelli della governizzazione, con l’ingresso dello Stato e la regolamentazione”. Ma Peter Thiel? So che si nutre solo di semi. “Ma quando mai? Quando viene a Roma lo porto a mangiare a piazza della Minerva. Ma ha un assistente che sta sempre a controllare tutto col suo telefono. Ma che ti controlli. Andiamo a magnà”.  

 

Padre, lei come i veri siliconvallici ha fatto dropout, ha abbandonato cioè l’università senza laurearsi. “Sì, ma a differenza loro senza mettere su l’azienda”.  “Studiavo ingegneria alla Sapienza. Volevo capire il mondo, questo tipo di studi mi aveva dato un buono schema per capirlo, il mondo, ma poi ne ho trovato uno migliore. Stavo all’ultimo anno, ero fidanzato con una ragazza e lei mi voleva un po’ più cattolico, e diciamo che l’ho presa in parola. Siamo andati a uno di questi incontri per giovani, e ho trovato  quello che stavo cercando. Anche uno stile di vita che potesse garantirmi di seguire quello che mi interessava”. Quando si dice essere francescani, lei l’ha preso un po’ troppo alla lettera. Mi dicono che in Commissione lei si presenti talvolta in saio e talvolta in borghese. “Sono andato solo una volta senza saio, perché pioveva a dirotto, rischiavo di infradiciarmi completamente, con le buche piene d’acqua di Roma, sa, il saio assorbe l’acqua”. Che famiglia era la sua? “Padre ingegnere, mamma insegnante. Mio padre ancora non si capacita”.

 

Nel frattempo l’iPhone aziendal-francescano continua a suonare. “Ah, no, questo non è il Senato, aspettavo una telefonata dal Senato, non rispondo”. Padre, l’ho vista pure in un Cafonal su Dagospia, fotografato a una inaugurazione al Maxxi. Non è che mi  diventa il religioso immancabile nelle feste dell’Appia Antica? Insieme alla principessa, la signorina di facili costumi, il religioso è di rigore. Non è che mi sostituirà il celebre pope russo? E’ chiaro che il francescano dell’Intelligenza Artificiale sarà ambitissimo in quei consessi. “Ma no, è che ero nel comitato scientifico di quella mostra, era una cosa sul senso spirituale dell’arte. No, no, io la sera sto in convento, niente cene. Anzi tra un po’ la lascio che ho una call con gli americani”. E dove sta questo convento? “Al rione Monti, vicino ai Fori imperiali”. Convento Ztl. “Sì, attaccato all’hotel Forum”. Quello caro a Beppe Grillo. E’ per caso grillino padre, ho visto che ha partecipato a dei convegni anche coi Cinquestelle. “No, macchè, per carità”. Le hanno mai offerto candidature? “Noi francescani non possiamo, per statuto, avere cariche elettive. E’ un gran vantaggio”. 

 

E quando non insegna e non scrive che fa? “Amo la fotografia e andare in bicicletta. E smanettare sul computer naturalmente”. Primo pc posseduto? “Texas Instruments TI 99/4 A, che lavorava in linguaggio Basic, col registratore a cassetta”. E adesso? Mac? “Mac”. Portatile? “Portatile”. Il Vaticano del resto è sempre stato all’avanguardia con l’informatica. “All’inizio avevano una suora bravissima che lavorava per Compaq o Dell, non ricordo, e lavorava su tre computer, ognuno col nome di un arcangelo, a proteggere la sicurezza delle reti digitali vaticane, quando non si parlava ancora di cyber security”. E adesso papa Francesco ci tiene molto a studiare gli effetti delle nuove tecnologie. “Sì, soprattutto sui più deboli”. Ma che fa la sua commissione? “Eh, abbiamo fatto tantissime audizioni. E’ una specie di comitato scientifico. Abbiamo ascoltato aziende, l’Ordine dei giornalisti, la Federazione della stampa, e poi Microsoft, Amazon. La commissione dipende dal dipartimento dell’Editoria di palazzo Chigi”. Poi ce n’è un’altra, quella del sottosegretario Butti. “Esatto”. Poi ce n’è un’altra ancora sulla blockchain. “Ah, di quella non so niente”, dice padre Benanti. Ma a che serve sta blockchain? “Mah, secondo me so’ tutti dei fanatici questi della blockchain”.  E negli atenei americani come va?  “Alla mia università cattolica di Seattle ci sono le bandierine Lgbt, del resto siam pur sempre sulla West Coast, e a me in saio mi guardano malissimo. In generale mi colpisce che non si possa più affrontare alcun argomento, pensiamo solo a Israele-Palestina”. Da noi però la famigerata cultura woke pare non avere molto attecchito. “Ma chi l’ha mai vista. Là sì che è seria, se ti riferisci a un nero con la parola con la enne te menano. Del resto non è carino offendere le persone gratuitamente”. 


E l’idea del podcast come le è venuta? “L’ho cominciato durante il Covid”. Ma poteva fare il pane come tutti. “Ho fatto anche quello, e anche delle torte. Torta della nonna. Coi miei confratelli”. A proposito, ma chi cucina in convento? “Adesso c’è un giovane frate del nord, ma esagera coi carboidrati, io devo stare attento, sa, dopo i cinquanta…”.  E in America che mangia? “Di solito mi faccio il panino da Whole Foods, con diciotto dollari me la cavo.  Certo Whole Foods è carissimo, te danno la fragolina organica nella carta riciclata”. E quando va a New York per le Nazioni Unite dove sta, in convento? “No, prima andavo in un alberghetto  sulla Seconda strada, giù giù, che per andare all’Onu ci mettevo un’eternità. Poi quando ho capito che mi pagavano loro l’albergo mi sono un po’ avvicinato”. Ma come ci è finito nell’Advisory board delle Nazioni Unite per l’intelligenza artificiale? “Mi ha chiamato Guterres”. Il segretario generale! L’hai mai incontrato? “Certo”. Lui politicamente è molto criticato ora. “E’ stato per tanti anni nei campi dei rifugiati palestinesi, conosce bene la situazione”. Padre, mi dica qualcosa di divisivo. “Ma io so’ francescano. Io parlo con gli uccelli, tifo per la pace”. E tifa anche per qualche squadra? “La Roma, ecco, su questo so’ divisivo. Te faccio la battuta francescana: San Francesco, Papa Francesco, Francesco Totti. La triade non se discute”. 
 

  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).