Studenti in California svolgono un compito in classe utilizzando Khanmigo, chatbot basato sull'intelligenza artificiale (Constanza Hevia H./Getty Images) 

Così l'Intelligenza Artificiale può migliorare la didattica. Parla Greco, capo della task force del governo

Mario Leone

Greco, presidente dell’Associazione Italiana per l’IA sostiene che nelle scuole questa tecnologia potrà migliorare gli standard qualitativi minimi, soprattutto in zone disagiate o per studenti con bisogni educativi speciali e svela quanto sia già operativa in tre diverse macroaree 

Il nome di Gianluigi Greco circola da diversi anni perché legato agli studi più autorevoli in materia di Intelligenza artificiale. Presidente dell’Associazione Italiana per l’IA, capo della task force voluta dal governo di Giorgia Meloni proprio su queste tematiche, il professor Greco si avvicina alla materia molto prima che essa divenisse così presente anche nel dibattito pubblico. Solo qualche giorno fa al World economic forum di Davos, Sam Altman, ceo di Open Ai, non ha nascosto i rischi che una tecnologia così potente può avere se usata male. Ma riavvolgiamo il nastro e proviamo a fare ordine. “Il primo a parlare di intelligenza artificiale è stato Alan Turing – dice il professore – che già nel 1950 si chiedeva se le macchine potessero pensare. Da questa intuizione nasce l’intelligenza artificiale, una disciplina che studia se gli elaboratori possano simulare comportamenti intelligenti”.

 

Dal 1950 a oggi la ricerca si è incentrata sullo sviluppo di algoritmi che implementassero queste funzioni umane. Greco sostiene che l’IA potrà migliorare gli standard qualitativi minimi della didattica, soprattutto in zone disagiate o per studenti con bisogni educativi speciali e svela quanto essa sia già operativa in tre diverse macroaree: “Le esperienze già in atto in ambito formativo – continua Greco - sono relative agli ambienti di simulazione molto utili negli ambiti sperimentali come la fisica e la chimica. Si vivono delle esperienze virtuali ma verosimili che spesso i ragazzi non possono fare perché mancano i laboratori o non possono frequentare fisicamente la scuola. Un secondo utilizzo è nei sistemi di traduzione in tempo reale che permettano una più facile integrazione degli studenti stranieri che popolano le nostre classi. Un ultimo ambito è quello sviluppato in America dalla Carnegie Learning azienda che offre servizi di tutoraggio 24 ore su 24, capace di rispondere a questioni teoriche ma anche pratiche come per esempio risolvere un problema matematico”.

   

Anche dal punto di vista amministrativo l’intelligenza artificiale può offrire numerose possibilità soprattutto per una scuola, come quella italiana, schiacciata dalla burocrazia e da pratiche sempre più intricate e cervellotiche. Greco indica ancora l’America portando due esempi concreti e noti a chi lavora nel mondo dell’istruzione. “La formazione dell’orario dei docenti ma soprattutto la formazione delle classi possono essere realizzate sulla base di numerose informazioni relative agli studenti, al loro percorso, alle preferenze che esprimono. Io stesso nella mia Università – dice Greco - curo un progetto che prevede il monitoraggio del corso di studi degli iscritti, analizzando numerosi dati e confrontando dei trend che possano dirci cosa può succedere loro durante il percorso di studi ma anche le possibilità future”. Viene da chiedersi dove si collochi il docente in questo quadro e quali siano le prospettive future. “C’è un tema di formazione ancora aperto – dice Greco - perché gli studenti sono più recettivi mentre i docenti sono tra gli ultimi che arrivano a queste tecnologie. Eppure già oggi un professore potrebbe usare tutte le tecniche generative per accelerare e migliorare la qualità del suo lavoro. Un ventaglio vasto di possibilità che sono utilizzate pochissimo”. In questo senso si inserisce il lavoro che Greco svolge con il gruppo voluto dall’attuale governo. “Stiamo aggiornando alcuni documenti che sono stati utilissimi ma che hanno come orizzonte il 2024 quindi sono da rimettere a tema. Il mondo è cambiato e dobbiamo prendere atto che l’IA sarà sempre più presente nella vita di tutti i giorni. Prima era argomento da nerd, ora è quasi un fenomeno di costume che coinvolge tutta la società, perciò l’educazione è cruciale. La scuola non può tirarsi indietro”.

   

Eppure l’Italia è tra gli ultimi paesi zona euro per competenze digitali di base e l’utilizzo delle nuove tecnologie. Cosa fare, professore? “La mia visione è bidirezionale: cosa l’IA può fare per la scuola e cosa la scuola può fare per l’IA. Abbiamo due possibilità: o continuare ad avere paura di queste realtà o iniziare a usarle. Siamo nel bel mezzo di una rivoluzione e siamo un po’ impreparati, non solo in Italia. La scuola deve rinnovarsi con l’IA ma anche insieme all’IA. Bisogna favorire l’utilizzo di questi sistemi trovando però un equilibrio. Per fare questo, occorre essere coscienti di quello che l’intelligenza artificiale fa molto bene: attività legate a “pensieri veloci” (riconoscere un cartello, fare una sintesi, distinguere una figura). Nel giro di poco tempo queste operazioni saranno automatizzate. Allora nello sviluppo delle competenze bisogna puntare su quelle attività che richiedono riflessione, astrazione, mettere insieme argomenti diversi. Solo nella scuola si possono elaborare percorsi didattici fatti bene. Qui è la chiave dell’utilizzo vero dell’intelligenza artificiale. Il gruppo di lavoro vuole definire un contesto di sviluppo nel nostro paese ma, ribadisco, il punto di svolta per l’utilizzo vero di queste tecnologie passa dalla formazione e dai talenti che da questa formazione di base saremo in grado di produrre”.