Il commento

Ecco i treni che l'Italia sta perdendo quando si parla del futuro dell'auto

Stefano Firpo

L'industria automobilistica europea deve darsi una bella svegliata o rischia di rimanere indietro. E ad avanzare sempre di più saranno Cina e Asia

L’industria automobilistica globale è nel bel mezzo di una doppia trasformazione di proporzioni epocali: da una parte c’è la trasformazione digitale verso la guida autonoma e dell’altra quella ambientale che passa attraverso l’elettrificazione. Queste due trasformazioni si rinforzano vicendevolmente perché digitale ed elettrico sono sinergici, accelerando il processo di trasformazione. L’industria automobilistica europea è rimasta indietro in questa corsa tecnologica, su entrambe i fronti: tanto sull’elettrico quanto sul digitale. Sull’elettrico, l’Europa del Green deal, dopo aver scientemente scelto questa sola tecnologia (a scapito di diesel di nuova generazione o di altre soluzioni come l’idrogeno) quale unica tecnologia per portar avanti la decarbonizzazione nel settore dei trasporti, non ha saputo costruire una politica industriale a supporto di questa imponente trasformazione lasciando alla Cina campo libero di accesso al mercato europeo. Il risultato è che oggi la Cina è il maggior produttore (con BYD) ed esportatore (soprattutto in Europa) di auto elettriche: nel 2022 l’Europa ha importato dalla Cina circa il 54% del totale delle auto elettriche a batteria, al primo posto tra i paesi da cui importiamo.

La Cina ha accumulato un significativo vantaggio tecnologico sulle batterie rispetto all’Europa: ben 6 dei primi 10 leader industriali nelle batterie sono cinesi, il resto sono asiatici, non figura alcun produttore europeo. La Cina poi fa leva su un vantaggio “naturale” grazie al suo sostanziale monopolio nell’accesso alle materie prime critiche necessarie al processo di fabbricazione delle batterie. È notizia di qualche giorno fa che la commissione europea abbia avviato un’indagine sui sussidi cinesi alla loro industria automobilistica. Viene da domandarsi se veramente a Bruxelles qualcuno abbia mai pensato che la Cina avrebbe giocato pulito, da economia di mercato nella corsa all’elettrico mentre noi – impegnati come eravamo a mettere fuori legge il diesel - ci scordavamo del complicatissimo e costosissimo passaggio all’elettrico della nostra industria tutta concentrata sul motore endotermico! Sul fronte digitale la situazione non è migliore. Diversi player americani stanno accumulando un vantaggio competitivo sui sistemi operativi su cui verrà concentrata buona parte delle funzionalità e del valore aggiunto delle auto del futuro a guida autonoma. Sul computer centrale dell’auto (CPU) c’è un quasi monopolio di NVIDIA per i semiconduttori e i componenti microelettronici. Sulla piattaforma software sia Google che Apple hanno in sviluppo ottime soluzioni, potenzialmente persino più valide di Tesla. Anche Qualcomm sta investendo. Nell’auto elettrica e iper-digitalizzata del futuro interi sistemi e sottosistemi spariranno (ABS, trasmissione, Engine Management per dirne un po') e le loro funzioni saranno centralizzate sul computer di bordo con una spettacolare semplificazione della catena di fornitura dei componenti auto.

La filiera della componentistica tornerà a essere quasi esclusivamente meccanica, lo sviluppo prodotto lo farà chi governa il sistema operativo e il valore aggiunto della componentistica si svuoterà. Si rischia di assistere allo stesso film già visto coi cellulari dove Nokia perse la partita con Apple o coi produttori di PC con Intel: oggi puoi comprare indifferentemente diverse tipologie di cellulare o di PC (hardware), ma l’unica discriminante che conta nella generazione di valore è il sistema operativo (software) su cui operano. Quindi avremo autovetture più semplici, auspicabilmente meno costose e con buona parte del valore aggiunto che si sposta dall’Europa agli Stati Uniti e alla Cina (più il Giappone). Queste sono le sfide del futuro.

L’industria automobilistica europea non ha alternative si deve dare una bella svegliata e iniziare a collaborare sugli investimenti tecnologici necessari perché il gap accumulato con USA e Cina su digitale ed elettrico è ormai tale che nessun singolo produttore europeo può pensare di colmarlo in solitudine. Occorre una politica industriale europea sull'automotive: su batterie, sulla piattaforma software per l’auto, sulle infrastrutture di ricarica. L’Italia ha già perso un produttore auto ma oggi è in gioco la sua componentistica che ha saputo internazionalizzarsi negli ultimi 20 anni ma che ora rischia di perdere margini e competitività con rilevanti impatti sociali. Non saranno di certo politiche di sussidio nazionali di breve respiro tese ad aumentare un po’ la capacità produttiva degli impianti o a finanziare l’acquisto di macchine elettriche a dare un futuro a una filiera che rimane strategica per la crescita, la competitività e la tenuta occupazionale del nostro paese.