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Se l'Ue vuole davvero avere il suo Decennio digitale 2030 deve ascoltare le telco

Andrea Trapani

Il settore chiede all'Unione europea una legislazione più equa e un contributo da parte di chi beneficia maggiormente delle infrastrutture (gli Ott). Lo strano caso di un settore considerato talmente ricco da essere imbattibile, ma che imbattibile non è e nemmeno così ricco

“Non mi preoccupo mai del futuro, arriva sempre abbastanza presto”, diceva Albert Einstein. Una massima che è alla base della lettera che oggi 20 ceo delle maggiori telco europee, tra cui gli italiani Pietro Labriola di Tim e Margherita Della Valle di Vodafone Group, hanno inviato all’Unione europea per chiedere una legislazione capace di tenere fede al futuro digitale di tutti i cittadini europei. Tanto facile a dirsi quanto difficile a realizzarsi.

Tutto quel che ci sembra ovvio nella quotidianità, in realtà fa parte di un processo che rischia di non essere più autosufficiente. La rete internet di oggi non è più quel sogno utopistico degli anni novanta, è diventata una cosa talmente seria che, solo a livello infrastrutturale, ogni scelta potrebbe cambiarne gli equilibri. Per intendersi, l’utilizzo di internet non è più solo il World wide web: ci sono altri protagonisti, questo è il decennio dello streaming che ha reso così democratico l’accesso ai contenuti video da essere diventato in pochi anni l’applicazione che crea la maggior parte del traffico dati.

 

Anche i ricchi piangono

Leggere un appello, per di più sul Financial Times, per una legislazione più equa da parte delle telco potrebbe sembrare strano. Nella storia dell’economia mondiale, gli operatori telefonici sono sempre stati visti come entità talmente ricche da essere imbattibili; in realtà non è più così, il mercato italiano ne è un esempio. I profitti non sono più quelli di una volta e il futuro della connettività, alimentato da reti mobili e in fibra ultraveloci e a bassa latenza, costa un sacco. Per la prossima ondata di trasformazione digitale in Europa e per sostenere le nuove applicazioni nell’intelligenza artificiale servono soldi, tanti soldi.

L’Ue ha fissato i suoi ambiziosi obiettivi per il Decennio digitale 2030 per abilitare queste tecnologie. Tuttavia questi cambiamenti determineranno anche nuove esigenze nei confronti delle reti di telecomunicazioni. Senza gli investimenti necessari, il decennio digitale dell’Europa potrebbe fallire. Lo stesso 5G si sta affermando a fatica, la tecnologia c’è ma spesso mancano le basi per avere migliori frequenze o una razionalizzazione dei limiti elettromagnetici (citofonare al governo italiano).

Sorprende ma non troppo quindi vedere le (fu) ricche aziende telefoniche chiedere ai politici dell’Ue di “rivedere l’attuale quadro normativo delle telecomunicazioni e di consentire alle Pmi europee di competere a livello globale”. Già, la chiave di questo dibattito sono gli investimenti. L’Ue stima che saranno necessari almeno 174 miliardi di euro entro il 2030 per raggiungere gli obiettivi di connettività previsti. Peccato che le telco non siano abbastanza forti per soddisfare una simile richiesta, con molti operatori che riescono a malapena a coprire il costo del capitale. Allo stesso tempo, il traffico dati è cresciuto ininterrottamente a un tasso medio del 20-30 per cento ogni anno, guidato in gran parte da una manciata di grandi aziende tecnologiche. Un paradosso vero e proprio: nel momento in cui la rete internet è davvero aperta a tutti, poche grandi corporation hanno acquisito quasi un oligopolio de facto.

 

La svolta ambientalista nella sfida tra Ott e telco

Per questo gli operatori europei hanno chiesto la garanzia di un contributo equo (leggasi obolo) a carico delle aziende che beneficiano maggiormente delle infrastrutture. Google & Friends da tempo dicono che non è così, ma le telco non ci stanno e attaccano: “Le grandi aziende tecnologiche non pagano quasi nulla per il trasporto dei dati attraverso le nostre reti, i ricavi sono lungi dal coprire i costi necessari per raggiungere gli ambiziosi obiettivi dell’Ue. I fornitori di telecomunicazioni non possono negoziare con gli Ott prezzi adeguati per il trasporto dei dati.”

Se non bastassero i problemi in carico, da un po’ di tempo anche il tema dei costi energetici è diventato un altro (ingombrante) protagonista del settore: “Attualmente non esiste alcun incentivo (economico) per ridurre il traffico di dati non necessario”, continua la lettera che arriva a consolidare un tema trasversale a tutta l’economia europea. Insomma, per dirla in poche parole, una gestione più responsabile ed efficiente delle reti, ovvero senza compromettere l’esperienza dei clienti, contribuirebbe agli obiettivi dell’Ue sul consumo di energia e sulla riduzione delle emissioni inquinanti. Una specie di cavallo di Troia per fare moral suasion ai livelli più alti.

Per questo l’Unione europea, intesa come istituzione, dovrà vincere una doppia sfida: quella economica, mantenendo il proprio mercato digitale aperto alla concorrenza, e quella politica in cui l’alleato americano è un partner imprenscindibile per il futuro tecnologico del continente. Il tutto possibilmente senza scomodare i governi nazionali che, eccezion fatta per il roaming, amano mettere in discussione tutto, dalle emissioni elettromagnetiche alle licenze, quando in realtà l’unica risposta razionale è quella di un’Europa (tecnologicamente) unita.

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