La strada europea di Meloni passa dalle telecomunicazioni
Martedì scorso la Conferenza delle regioni e delle province autonome ha pubblicato un documento di temi prioritari per il nuovo governo: tra i temi c'è l’innovazione tecnologica. Serve rimuovere gli ostacoli per la transizione digitale sul 5G e per lo sviluppo di applicazioni innovative anche nelle aree più remote del territorio. Parla la direttore di Asstel Laura Di Raimondo
Non abbiamo solo il rallentamento del pil e l'inflazione che stanno sempre più restringendo i margini di manovra del nuovo esecutivo.. Si è appena insediato un nuovo governo e visto che “la politica è più importante delle antenne”, come dicono alcuni sagaci addetti ai lavori, i dossier sulle telecomunicazioni sono tra i più rilevanti tra quelli già depositati sul tavolo della presidenza del consiglio.
I primi dossier per il nuovo Governo
Non a caso, già martedì scorso, la Conferenza delle regioni e delle province autonome ha pubblicato un documento di temi prioritari e proposte programmatiche, una specie di liturgia istituzionale quando un nuovo governo entra in carica, con accenni molto importanti per l’innovazione tecnologica. Lo sa bene Laura Di Raimondo, direttore di Asstel: “Le tematiche di questi mesi, come quella energetica e quella sui limiti elettromagnetici, fanno parte di un quadro generale di rilancio della politica industriale che mostra la necessità di agire per dare il giusto riconoscimento a un settore che sta continuando a investire nonostante le difficoltà di questi anni. Mi auguro che, con il nuovo governo, continui quel sostegno già avuto con il precedente che era intervenuto sugli oneri del sistema con misure ad hoc per le telco che dovrebbero essere mantenute come strutturali”.
Non si tratta solo di soldi quando si parla dei limiti elettromagnetici, anzi. L’obiettivo della filiera delle telecomunicazioni è chiaro: bisogna rimuovere gli ostacoli per la transizione digitale sul 5G e per lo sviluppo di applicazioni innovative anche nelle aree più remote del territorio. Facile a dirsi, meno a realizzarsi: “Questo è il momento in cui si affidano i dossier e le proposte per la nuova legislatura,” ricorda Di Raimondo al Foglio, “quanto sviluppato dalla Conferenza delle regioni è un passaggio necessario per armonizzare i limiti italiani a quelli europei, ovviamente mantenendo la massima protezione dei cittadini e della salute pubblica.” Non a caso, nell’ultimo simposio Itu (l'organizzazione internazionale che si occupa di definire gli standard nelle telecomunicazioni e nell'uso delle onde radio, ndr), è emerso come il problema principale che rallenta lo sviluppo del 5G in Italia è da riscontrarsi nelle vigenti previsioni normative, “le quali hanno fissato, nel 2003, dei limiti elettromagnetici particolarmente stringenti se paragonati a quelli degli altri Stati membri”. In poche parole, il sistema di due decenni fa non è tecnicamente applicabile alla tecnologia 5G perché, a differenza del 4G, questa ha un’emissione di potenza “adattiva” visto che si basa sul numero e sulla posizione degli utenti da raggiungere con il servizio.
Caro energia e continuità del servizio
Se non bastassero le restrizioni, la crisi in corso ha fatto emergere anche il problema energetico. Alcuni operatori sono usciti allo scoperto con le proprie mosse, per esempio Iliad ha annunciato di spegnere parte delle proprie frequenze di notte, Asstel dal canto suo rimane il rappresentante naturale di queste istanze. “Chiediamo che vengano introdotte misure di mitigazione per il costo dell’energia anche per le telco, al pari di quanto accade per le imprese energivore”, spiega Di Raimondo. Il fatto che le telecomunicazioni siano un’infrastruttura fondamentale per la nostra economia pare ormai assodato, anche se il settore rischia di trovarsi a un bivio: “Non vorremmo che un giorno si dovesse decidere tra il continuare negli investimenti in infrastrutture e competenze oppure pagare le bollette energetiche…”, prosegue Di Raimondo.
Tra la crisi dei conti e il lavoro del futuro
Il settore, infatti, soffre terribilmente. Non è una novità, ma documenti come quello dell’ultimo studio di Mediobanca hanno messo di nuovo, nero su bianco, i dati nudi e crudi della situazione in essere: in Italia, il giro d’affari è diminuito di oltre 14 miliardi tra il 2010 e il 2021, con la rete mobile in maggior affanno (-5,0 per cento) rispetto alla fissa (-2,5). Dinamiche, dice il rapporto, influenzate dalle pressioni competitive (anche da parte degli Ott), che nel nostro paese hanno causato la più marcata contrazione delle tariffe telefoniche (-20,5 per cento) rispetto al -4,9 per cento medio europeo nel quinquennio 2017-2021. Insomma, se gioiscono i consumatori piangono i gestori: basti pensare che, solo nel primo semestre di quest’anno, i ricavi hanno proseguito il trend calante, scendendo del 4,6 per cento con una contrazione del fatturato che rimane concentrata soprattutto tra i primi tre operatori, ovvero Tim, WindTre e Vodafone.
Eppure motivi per cui questo settore rimane un esempio trainante per l’economia nazionale ed europea non mancano, ricorda Laura Di Raimondo: “Siamo l’anello di congiunzione tra le numerose necessità della nostra società e il futuro del lavoro: se da una parte per noi è fondamentale la velocità di attuazione delle proposte anche sui temi energetici e sui limiti di trasmissione, dall’altro siamo impegnati ogni giorno per lo sviluppo della cultura del digitale e delle competenze. Siamo una realtà che investe tanto sulle aziende quanto sulle persone con oltre duecentomila addetti che stanno dando vita a nuove esperienze e nuovi mestieri. Un settore che, non a caso, aveva introdotto il vero smart working anche prima della pandemia tanto che rivendico con passione come il futuro del nostro settore stia proprio nell’organizzazione del lavoro che sta cambiando”. Più velocemente della legge, ma questa è un’altra storia.
Limiti e concorrenza