Foto di Justin Lane, via Ansa  

La non-innovazione

Chomsky e Kissinger, due grandi del Novecento, alle prese con ChatGPT

Maurizio Crippa

Pur radicalmente diversi, convergono sulla loro opinione dell'intelligenza artificiale. "Banalità del male", per il linguista. Il fenomeno "contrario alla modernità post-illuminista", secondo il politologo. Le evoluzioni tecnologiche tra nuovi sogni e nuovi problemi

All’inizio fu il codice Enigma, che Alan Turing riuscì a decifrare suscitando l’entusiasmo tra gli scienziati, dopo la guerra, di essere a un passo dal decifrare le strutture di ogni lingua umana. Negli anni 70 del Novecento l’allora “cibernetica” e le nuove teorie dell’informazione credevano di essere a un passo dal traguardo. Più o meno negli stessi anni Noam Chomsky, il padre della linguistica generativa, frenava invece gli entusiasmi sottolineando, già allora, la differenza ineliminabile tra intelligenza umana e artificiale: “Il fatto che tutti i bambini normali acquisiscano delle grammatiche sostanzialmente comparabili, di grande complessità e con notevole rapidità suggerisce che gli esseri umani siano in qualche modo progettati in modo speciale, con una capacità di natura misteriosa”.

Le evoluzioni tecnologiche portano con sé nuovi sogni e nuovi problemi. Decenni dopo Enigma, le IA e soprattutto il travolgente successo di ChatGPT riaprono domande. Scrivevamo ieri che queste sfide vanno governate, più che demonizzate. Vale sempre, ma è più complesso farlo quando la sfida sono le learning machine e i chatbot che elaborano i nostri pensieri e parole miliardi di volte più in fretta di noi. Giunti all’incontro con una macchina che non ci batte soltanto a scacchi, ma sa organizzare discorsi predittivi, il problema si fa filosofico: nel senso più decisivo del termine.

Non è un caso che su queste domande, a distanza di pochi giorni, abbiano incrociato le loro intelligenze due personalità diverse ma non opposte, Noam Chomsky e Henry Kissinger, un linguista e un politologo. Entrambi quasi centenari, uno liberal e l’altro conservatore, due interpreti delle migliori correnti culturali dell’ebraismo laico, due benchmark del pensiero del Novecento che bisognerebbe far apprendere a memoria a ogni chatbot. Chomsky ha parlato di ChatGPT sul New York Times, le sue idee sulle IA applicate al linguaggio sono note da anni. Chomsky ha sempre messo in luce le difficoltà di replicare il funzionamento del cervello umano.

Lo pensa ancora, anche se i progressi delle IA sono enormi: “Sono meraviglie dell’apprendimento automatico”, ha scritto, ma il problema resta “la mancanza di moralità” insita nella macchina (vero o falso, giusto o sbagliato). Per lui ChatGPT è un esempio di “banalità del male”. Invece “la mente umana è un sistema sorprendentemente efficiente e persino elegante che opera con piccole quantità di informazioni”. Una differenza che il progresso potrebbe non eliminare. Sul Wall Street Journal Kissinger parte da un assunto più pragmatico. 

Kissinger parla di una nuova tecnologia che “si propone di trasformare il processo cognitivo”. Paragone storico: la stampa “ha reso il pensiero umano astratto comunicabile in modo generale e rapido”. Ma l’IA oggi inverte il processo, “crea un divario tra la conoscenza umana e la comprensione umana”. Dunque “se vogliamo navigare con successo in questa trasformazione, sarà necessario sviluppare nuovi concetti di pensiero umano e interazione con le macchine”.

Si tratta di “una sfida filosofica e pratica su una scala mai sperimentata dall’inizio dell’Illuminismo”. Perché, riflette Kissinger, così tanti sono i dati che sanno processare che “nell’era dell’intelligenza artificiale gli enigmi vengono risolti da processi che rimangono sconosciuti… Intrinsecamente, l’intelligenza artificiale altamente complessa promuove la conoscenza umana ma non la comprensione umana, un fenomeno contrario a quasi tutta la modernità post-illuminista”.

Il suo ragionamento pragmatico lo porta a dubbi non così diversi da quelli di Chomsky. Se queste macchine hanno una “capacità inaspettata” anche per i loro creatori, e questo “modificherà molti campi dell’attività umana, ad esempio l’istruzione e la biologia”, ed è “probabile che le IA generative in molti campi apprendano più di quanto implicano i compiti loro assegnati”. E questo riguarda la nostra capacità di risposta, di insegnamento, di filosofia: “L’importanza a lungo termine dell’IA generativa trascende le implicazioni commerciali o anche le scoperte scientifiche non commerciali. Non sta solo generando risposte; sta generando domande filosoficamente profonde. Plasmerà la diplomazia e le strategie di sicurezza. Eppure nessuno dei creatori di questa tecnologia sta affrontando i problemi che essa stessa creerà”. E l’apparente perfezione delle risposte del modello produrrà un’eccessiva fiducia nei suoi risultati”. Prendere le riflessioni di due campioni del pensiero novecentesco e chiedere a ChatGPT di farne una sintesi.

  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"