Elon Musk (Lapresse)

La corsa delle intelligenze artificiali

Elon Musk vuole costruire la sua IA anti-woke

Pietro Minto

Si sta diffondendo in America un grido di denuncia che accusa ChatGPT di essere di sinistra. Il magnate di Tesla e Twitter ha preso la palla al balzo per progettare la sua personalissima alternativa, politicamente incolore

Il 23 marzo del 2016, Microsoft mise online Tay, un tipo particolare di programma (chiamato “chatbot”) con cui era possibile chiacchierare di qualsiasi cosa, grazie alle intelligenze artificiali che compilavano le sue risposte. Tay fu presentata dall’azienda come una IA sperimentale pensata per comportarsi – e scrivere – come una ragazza adolescente. Aveva anche un suo carattere, che le valse la definizione di “AI che se ne frega di tutto”. Oggi quell’esperimento è noto ai più perché nel giro di 24 ore, interagendo con utenti d’ogni tipo (e una buona dose di troll), Tay imparò piuttosto velocemente dal peggio del peggio del web, finendo per generare risposte razziste e antisemite, negando persino l’Olocausto. Due giorni dopo, Tay fu rimossa dal web.

 

Sono passati nove anni da quell’operazione e il settore delle intelligenze artificiale ha avuto recentemente la sua prima hit globale con ChatGPT, un chatbot realizzato da OpenAI, azienda che ha da poco stretto un patto multimiliardario proprio con Microsoft. ChatGPT – e in generale il modello linguistico Gpt-3, su cui si basa – è molto più cauta di Tay. Non per una questione di personalità, ma grazie ai limiti imposti dai suoi programmatori, che hanno definito i temi troppo sensibili per essere trattati. Nonostante alcuni passi falsi e qualche errore, quindi, ChatGPT viene usato da mesi senza che abbia  avuto derive filonaziste. Ma non basta: alcuni osservatori hanno accusato la tecnologia di nutrire pregiudizi politici e culturali, in particolare di essere troppo in linea con gli ideali progressisti e liberal.

 

Ne è nato un grido di denuncia (“ChatGPT è woke!”), cui si sono uniti alcuni esponenti della destra americana e che è poi arrivato a Elon Musk, già capo di Tesla e Twitter, che questa settimana è passato dalle parole ai fatti, reclutando un manipolo di professionisti di IA per costruire un’alternativa a ChatGPT e alla sua presunta agenda sinistrorsa. Tra questi, secondo il sito The Information, ci sarebbe anche Igor Babuschkin, che però non avrebbe ancora firmato con l’imprenditore. La notizia sembra confermare le ambizioni di Musk, che da capo del social network è già al comando di uno strumento essenziale per le discussioni online.

 

Ma a colpire è soprattutto l’acredine dimostrata da Musk nei confronti di OpenAI, azienda che ha di fatto co-fondato nel 2015 con Sam Altman, oggi a capo della società, e che nelle settimane scorse ha spesso criticato e accusato. Lo scorso dicembre ne aveva lodato le capacità con un tweet che oggi suona come una dichiarazione di guerra a scoppio ritardato: “ChatGPT funziona spaventosamente bene. Non siamo così lontani da una IA paurosamente potente”. La gara – se si può parlare di gara – è aperta e Musk non sembra disposto a parteciparvi con una vettura in condivisione con Altman: a quanto pare, preferisce una realtà personale con cui proteggere la libertà d’espressione dai pericoli di questi tempi (la stessa battaglia per cui ha pagato 44 miliardi di dollari per Twitter).

 

La vicenda non fa che confermare l’interesse ossessivo del settore tecnologico per le IA, una sigla che ormai si porta con tutto e può fare la differenza tra una startup che riceve finanziamenti e una che fallisce. Anche per questo, la Federal Trade Commission, ente federale statunitense che promuove la tutela dei consumatori e si occupa di proteggere la giusta concorrenza, ha pubblicato un documento in cui chiede di “tenere a bada le affermazioni sulle intelligenze artificiali”. In un mercato dominato dall’hype, infatti, il concetto di IA rischia di perdere significato e di essere usato a sproposito. “Stiamo esagerando ciò che la nostra IA sa fare?”, chiede di domandarsi la FTC prima di mettere in vendita un servizio di questo tipo; e poi: “Stiamo promettendo che l’IA farà il proprio lavoro meglio di un prodotto senza IA?”. E soprattutto: “Il prodotto usa veramente le IA oppure no?”. Sono domande con cui dobbiamo prendere confidenza: la gara è appena iniziata.

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