Sam Altman (Kevin Dietsch/Getty Images) 

il costruttore di ia

Sam Altman, che sta dietro a ChatGPT, è uno che si prepara per la catastrofe. Come Musk

Pietro Minto

Il trentasettenne amministratore delegato di OpenAI è un prepper, una persona preparata all’apocalisse o a una crisi sistematica globale. Il motivo per cui si è interessato di intelligenza artificiale è fantascientifico. Ora ha abbandonato la missione di “salvare il mondo” per monetizzare il proprio lavoro

Il mondo sta per finire, secondo Sam Altman, il trentasettenne amministratore delegato di OpenAI, l’azienda produttrice di ChatGPT, tra le intelligenze artificiali più discusse di questi mesi. Altman è una vecchia conoscenza della Silicon Valley: già a capo dell’influente società di investimenti YC Combinator, nel 2015 ha lasciato tutto per darsi all’intelligence artificiale. All’epoca presentò OpenAI come una realtà necessaria per lo sviluppo sano e controllato di una tecnologia di cui l’imprenditore sembra avere timore. 

  
Qualche anno fa, Altman disse che l’avvento delle IA avrebbe rappresentato “molto probabilmente la fine del mondo”, precisando però il potenziale di business di uno simile scenario (il quale, aggiunse, “permetterà la nascita di grandi aziende”). Ecco, ci siamo, o quasi. Il mondo è ancora qui, almeno per ora, ma il business è sicuramente maturato, sia per OpenAI sia per tutto il settore, spingendo Google, Ibm e altre realtà a seguire l’esempio dell’azienda e mettere online i propri progetti in fatto di IA. E pensare che OpenAI è stata fondata proprio per evitare un simile effetto domino. Nata come no profit, l’idea originaria era di sviluppare queste delicate tecnologie con cautela e attenzione, senza cedere ai meccanismi del mercato, che spingono le aziende a competere, spingendole a dare alla luce servizi non del tutto pronti e sicuri. Le IA erano una cosa troppo importante, per poter seguire la stessa strada: OpenAI avrebbe fatto le cose con calma. E, soprattutto, con etica. Nel corso degli anni le cose sono cambiate e il tono salvifico dell’azienda è sfumato. Già nel 2019, la no profit, originariamente finanziata da Altman, Peter Thiel, Reid Hoffman ed Elon Musk, ha aperto una divisione for profit per fare cassa. L’anno successivo, la rivista Technology Review ha raccontato come la pressione della competizione stava già erodendo l’idealismo di OpenAI. Nel frattempo, l’azienda stava sviluppando GPT-3, un nuovo modello linguistico, che a breve verrà rimpiazzato da GPT-4. Qualche mese fa, infine, secondo la recente ricostruzione di Kevin Roose sul New York Times, Altman ha deciso di accelerare, pare per non essere beffato dalla concorrenza.

  
In poche settimane, il team di OpenAI è stato costretto ad abbandonare il lavoro su GPT-4 per tornare al modello precedente e confezionare qualche prodotto dimostrativo, come ChatGPT. Pare che nessuno si aspettasse il successo del servizio, tanto che Altman ha passato gli ultimi mesi a contenere gli entusiasmi e a fare autocritica, vietando allo staff di tesserne le lodi, per non attirare le attenzioni delle autorità competenti (i temuti “regulators” di Washington). Quanto ad Altman, il timore apocalittico sembra condizionare ogni sua azione. Il motivo per cui si è interessato di IA è fantascientifico e ha a che fare con la minaccia di una AGI (o Artificial General Intelligence), ovvero una forma di IA pura, totale, in grado di eguagliare, se non superare, l’intelligenza umana da ogni punto di vista. Gli esperti dibattono da tempo sulla possibilità concreta di un’AGI, ma Altman, così come Elon Musk, sembra avere le idee chiare: succederà. E sarà la fine del mondo. Anzi, “del capitalismo”, come ha detto recentemente. La fine di qualcosa, di sicuro.

    
Il capo di OpenAI è pronto al peggio, sempre. Altman è quello che viene definito un prepper, una persona preparata all’apocalisse o a una crisi sistematica globale. Tempo fa ha acquistato una proprietà nel Big Sur (in California), che ha riempito di cibo, maschere antigas dell’esercito israeliano, armi, oro, antibiotici e ioduro di potassio (da assumere in caso di radiazioni). Quanto alle cause della fine del mondo, in cima alle sue preoccupazioni ci sono la guerra nucleare, il diffondersi di “un virus artificiale mortale” e un attacco nei confronti dell’umanità sferrato da una intelligenza artificiale ribelle.

      
Peccato che nel frattempo, OpenAI abbia abbandonato la missione di “salvare il mondo” per monetizzare il proprio lavoro, accettando volentieri un investimento pluriennale e multimiliardario da parte di Microsoft. Nel caso le cose dovessero andare davvero male, ci sarà sempre il Big Sur.
 

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