il caso

La bomba TikTok sta per scoppiare, anche in Italia

Giulia Pompili

Salvini accusa l’Europa di censura, ma il problema riguarda i dati e la sicurezza informatica. I provvedimenti sui dipendenti statali, dal Canada all’Ue

Il governo federale canadese ha annunciato che da domani su tutti i dispositivi elettronici dei dipendenti delle istituzioni canadesi non si potrà più usare il social network cinese TikTok. La decisione del Canada segue quella di giovedì scorso della Commissione europea e del Consiglio europeo, che hanno vietato ai rispettivi dipendenti di usare l’applicazione TikTok su smartphone, anche se personali, dove sono scaricati documenti e materiale legato al lavoro. Il provvedimento entra in vigore dal prossimo 15 marzo. A dicembre scorso il governo federale americano aveva preso una decisione simile per tutto il suo staff. Secondo il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini, però, sarebbe in atto una “censura”, perché “in una società liberale prima di arrivare a “blocchi” radicali “bisogna riflettere bene”. “Mettere il bavaglio a TikTok? Sono sempre a favore della libertà di pensiero, di parola e di espressione, e contro ogni censura”, ha detto Salvini in un breve messaggio su Twitter da più di quattrocentomila visualizzazioni e naturalmente su TikTok, con più di quattromila cuoricini. Il problema del social network cinese, però, non riguarda affatto la libertà d’espressione. C’è un problema di sicurezza, in un momento in cui la minaccia che arriva dal mondo informatico aumenta con un numero sempre crescente di attacchi cyber, anche nel nostro paese. Salvini conosce l’argomento, visto che nel 2019, poco prima dell’ingresso dell’Italia nella Via della Seta, da ministro dell’Interno, disse a “Domenica Live” che “l’unica cosa sulla quale staremo attenti è la sicurezza nazionale, penso per esempio ai telefonini dove passano tutti i dati, penso ai dati sensibili, da quelli sanitari a quelli anagrafici. Questa tematica, come anche l’energia, non può essere svenduta a potenze straniere”. E allora che cosa è successo all’ex ministro dell’Interno così attento alla sicurezza dei dati?

 

Da domani l’applicazione, di proprietà della società cinese ByteDance, verrà automaticamente cancellata dai dispositivi governativi del Canada e sarà bloccato il suo download “per garantire la sicurezza e la protezione dei sistemi informativi e delle reti del governo. Un esame della versione mobile dell’applicazione ha rilevato che i metodi di raccolta dei dati di TikTok possono rendere gli utenti vulnerabili agli attacchi informatici”, si legge in una email inviata ai dipendenti riportata dal giornale canadese National Post. E’ una decisione precauzionale, dopo le notizie sulla raccolta e l’invio dei dati da parte di ByteDance in Cina e le analisi sul funzionamento dell’applicazione che non forniscono sufficienti garanzie di sicurezza. 


In Italia della questione TikTok, e delle implicazioni sul piano della sicurezza informatica dei dipendenti pubblici, si parla da tempo. Il dossier è in mano al Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica da almeno tre anni, quando fu aperta un’indagine sull’uso dei dati degli utenti italiani da parte dell’azienda cinese. A dicembre scorso, dopo la decisione della Casa Bianca di limitare l’uso dell’applicazione e un dibattito pubblico sempre più acceso al Congresso sulle applicazioni made in China, il nuovo Copasir presieduto da Lorenzo Guerini ha aperto un’ulteriore indagine, che dovrebbe portare nelle prossime settimane a dei risultati pubblici. Ma la questione TikTok potrebbe diventare un nuovo problema all’interno della maggioranza di governo. Sabato scorso il ministro della Pubblica amministrazione, Paolo Zangrillo, intervistato da Repubblica ha detto che sul tavolo del governo c’è anche un potenziale blocco “su tutti i dispositivi dei dipendenti statali”. Secondo quanto appreso dal Foglio, anche il ministero dell’Industria sta studiando un provvedimento sul tema. 


La questione è delicata perché sebbene siano evidenti le criticità dell’applicazione, diversi politici italiani, da Giuseppe Conte a Matteo Salvini fino a Silvio Berlusconi, ne fanno largo uso: è un modo immediato e relativamente low cost per arrivare direttamente negli smartphone di utenti e potenziali elettori in una fascia d’età molto giovane, altrimenti difficilmente raggiungibile con gli strumenti e i metodi tradizionali della comunicazione politica italiana. Eppure, secondo le analisi dei paesi che hanno già preso provvedimenti in merito, TikTok potrebbe funzionare non solo come cavallo di Troia per eventuali attività di spionaggio o di sabotaggio, ma da tempo si discute sul funzionamento del suo algoritmo, che tende a censurare discussioni sfavorevoli nei confronti della politica cinese e a favorire una narrazione più tenera su temi sensibili come le violazioni dei diritti umani nella regione autonoma dello Xinjiang.  In pratica, per riassumere, Salvini accusa i funzionari europei di censurare il lavoro dei censori cinesi. 


TikTok sta facendo lobby per evitare che diversi paesi seguano l’esempio di America, Canada e Unione europea. A metà gennaio il ceo di TikTok Shou Zi Chew è stato per la prima volta a Bruxelles, dove ha incontrato alcuni funzionari che avrebbero fatto pressioni per rendere il sistema dei dati “più trasparente”. Secondo quanto riportato da Politico, il capo delle relazioni istituzionali Erich Andersen ha convocato un briefing a Westminster il 6 marzo prossimo per “garantire l’integrità” della piattaforma. In Italia, il capo delle relazioni istituzionali Giacomo Lev Mannheimer, ex manager di Glovo e ricercatore dell’Istituto Bruno Leoni, ha scritto su Twitter che la decisione dell’Ue di vietare TikTok dagli smartphone dei dipendenti “è stata presa senza un procedimento trasparente, senza una ragione esplicita, senza possibilità di appello”. 

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.