(foto EPA)

TikTok scomoda anche i sumeri per complottare sui palloni abbattuti

Pietro Minto

Quando si esula dal focus originario, l’algoritmo del social cinese rischia di diventare la via maestra per la disinformazione e la radicalizzazione degli utenti più ingenui

L’algoritmo di TikTok è pensato per capire gli interessi degli utenti e servire loro contenuti in quella direzione, in modo da tenerli connessi il più possibile. L’efficacia con cui il social network cinese riesce nel suo intento è notevole e ormai nota ai più, ma questo meccanismo sembra essere stato pensato per persone giovanissime, appassionate di celebrità, influencer, qualche sport o balletto. Quando si esula dal focus originario dell’applicazione, ecco che l’algoritmo rischia di diventare la via maestra per la disinformazione e la radicalizzazione degli utenti più ingenui. 

Per toccare con mano questo rischio, può essere utile provare a seguire su TikTok le notizie sui vari oggetti volanti abbattuti in questi giorni da Stati Uniti e Cina. Nel giro di pochi scroll, l’utente si ritroverà sommerso da interviste a sedicenti esperti sugli alieni, oppure estratti dai documentari più discutibili, o testimonianze di influencer dallo sguardo allucinato che annunciano il ritorno di antiche divinità sumere nel nostro pianeta. A questo punto, all’utente conviene scappare, cambiare velocemente tema sperando che l’algoritmo capisca che quanto appena visto non è di suo gradimento. Qualora lo sfortunato dovesse cincischiare, invece, magari affascinato dall’indiscutibile allure degli assurdi personaggi dediti alla caccia all’Ufo, si ritroverà in trappola, sommerso di fake news e teorie cospiratorie d’ogni tipo.

 

Al fine di questo esperimento domestico, si è scelto di continuare, assecondando l’algoritmo e proseguendo con la visione di questi contenuti. Continuando a scrollare, i consigli di TikTok hanno assunto presto un sapore diverso, virando verso le clip tratte da “The Joe Rogan Experience” (seguitissimo podcast in cui vengono spesso intervistati pseudo-scienziati di vario tipo) o video che parlano degli Anunnaki, antiche divinità sumere al centro di una teoria che li ritiene pronti a tornare sulla Terra per concludere l’esperimento iniziato con la razza umana qualche millennio fa. 

Nulla che non si sia già visto in qualche puntata di “Mistero” o una serie di History Channel. Il tutto è però fuso assieme alle opinioni, alle reazioni a caldo e agli innumerevoli video che dovrebbero mostrare incredibili velivoli sferici sorvolare a bassa quota un malcapitato testimone dotato di smartphone. Si tratta di fotomontaggi ma vengono presentati come prove, registrazioni segrete, i proverbiali video “che non ci vogliono far vedere”. In poche ore, l’esperimento porta a una radicalizzazione completa del feed di TikTok, senza che l’utente abbia fatto granché (né rilasciato un commento, né messo un like), consegnando una disturbante sensazione di déjà-vu: sembra di essere tornati al 2016, quando era YouTube a consegnare contenuti sempre più estremizzanti ai propri utenti.

 

In particolare, dopo le elezioni vinte da Donald Trump, in molti denunciarono l’effetto-vortice con cui YouTube trascinava gli utenti da banali clip comiche a interviste a Jordan Peterson, filosofo molto apprezzato dalla nuova destra americana, per capitombolare fino ad Alex Jones e altri estremisti. All’epoca si parlava di radicalizzazione e di filter bubble, anche in riferimento a quanto avveniva su Facebook, piattaforma che più di ogni altra ha dovuto subire l’ira della politica statunitense, in modo peraltro bipartisan (la sinistra critica la radicalizzazione, i repubblicani si sentono censurati e silenziati). Se YouTube ha fatto alcuni passi in avanti, Facebook è stata aiutata anche dalla crisi di quel tipo di modello social, che ha finito per ridurre le attenzioni sull’azienda. 

 

Nel frattempo, la stessa Facebook ha convertito Instagram, una sua proprietà, in modo da fare concorrenza proprio a TikTok, che con il suo algoritmo ha imposto un nuovo passo all’intero settore. Quando si parla del social cinese, però, si finisce sempre per preoccuparsi dei legami tra l’azienda madre, ByteDance, e il governo di Pechino, senza curarsi troppo di quello che succede ogni giorno nell’app, ancora vista come una miniera di tormentoni e danze giovanili. Ma TikTok è soprattutto uno dei principali motori della nostra velocissima cultura contemporanea, il luogo in cui le cose accadono e, soprattutto, vengono discusse. Costantemente, per giorni e giorni, da ogni angolazione possibile, anche scambiando un pallone cinese per un Anunnako sulla via del ritorno.

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