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Google deve 4,1 miliardi all'Ue: la Corte conferma l'inchiesta per posizione dominante

Alberto Cantoni

Il colosso di Mountain View dovrà pagare la sanzione stabilita dal Tribunale dell’Unione per le restrizioni illegali ai produttori di dispositivi mobili Android. È la multa più alta mai imposta da un’autorità di vigilanza sulla concorrenza europea

Google  dovrà pagare oltre 4 miliardi di euro di multa, la sanzione più alta mai imposta da un’autorità di vigilanza sulla concorrenza in Europa. Il tribunale dell’Unione ha confermato oggi la decisione della Commissione di multare Google (o meglio Alphabet, la società che la controlla) con una sanzione di 4,125 miliardi di euro. Inizialmente la multa ammontava a 4,343 miliardi, cifra successivamente ridotta del 5 per cento dalla sentenza della Corte europea.

Il verdetto punisce la strategia del colosso di Mountain View, che negli anni secondo l'accusa dell'Ue avrebbe imposto restrizioni illegali ai produttori di dispositivi mobili Android e agli operatori di reti mobili. Il tutto, con la finalità di consolidare la posizione dominante del proprio motore di ricerca. Si tratta di una decisione che ha origine da un’indagine iniziata nel 2015 da parte dell’attuale commissaria europea alla Concorrenza Margrethe Vestager, che nelle ultime ore ha commentato l’episodio spiegando che le pratiche di Google “hanno negato ai rivali la possibilità di innovare e competere sul piano dei meriti. Hanno negato ai consumatori europei i vantaggi di una concorrenza effettiva nell'importante settore della telefonia mobile. Tutto ciò è illegale secondo le norme antitrust dell'Ue”. 

Il cuore dell’accusa verte sul fatto che, negli anni, Google ha sfruttato il sistema operativo Android (installato su circa il 70/80 per cento dei dispositivi mobili nei 27 paesi dell’Unione) per favorire in maniera illegale il motore di ricerca di Google e tutti i servizi che ci orbitano attorno, negando ai concorrenti la possibilità di competere in un contesto di mercato genuino.

Nel dettaglio, secondo la Corte la società chiede ai produttori di smartphone di preinstallare le applicazioni Google Search e Google Chrome come condizione necessaria per ottenere la licenza per l'app store di Google (Play Store). Inoltre, sostiene la Commissione, l’azienda avrebbe effettuato pagamenti ad alcuni grandi produttori e operatori di rete mobile a condizione che preinstallassero solo ed esclusivamente l'applicazione Google Search sui loro dispositivi.

Ma riavvolgiamo il nastro. Oggi, Google ottiene la maggior parte delle sue entrate attraverso il suo prodotto di punta, il motore di ricerca Google (Search). L'azienda ha capito subito che il passaggio progressivo all'internet mobile – iniziato a metà degli anni Duemila – avrebbe rappresentato un cambiamento fondamentale. Per questo, negli anni ha sviluppato una strategia per anticipare gli effetti di questo spostamento e per assicurarsi che gli utenti continuassero a utilizzare Google Search anche sui loro dispositivi mobili. Come? Acquistando, nel 2005, l’azienda sviluppatrice del sistema operativo mobile Android (come già detto, oggi oltre il 70 per cento degli smartphone in Europa utilizza Android).

Quando Google sviluppa una nuova versione di Android, pubblica il codice sorgente online. In linea di principio, ciò consente a qualunque esperto di programmazione di sviluppare applicazioni e persino modificare il sistema operativo originale (questo processo è definito “fork”). Tuttavia, come nota la Commissione europea, le aziende sviluppatrici di software e i produttori di dispositivi che desiderano ottenere le applicazioni e i servizi Android (che sono di Google) devono necessariamente stipulare dei contratti, nell'ambito dei quali il colosso americano impone una serie di restrizioni. Ed ecco il punto della contesa.

In particolare, la decisione della Commissione riguarda tre tipi specifici di restrizioni contrattuali che Google ha imposto a terze parti. Restrizioni che hanno permesso di utilizzare Android come vero e proprio veicolo per consolidare la posizione di Google.

Perentoria la risposta della compagnia, che attraverso un portavoce ha fatto sapere di essere "delusa che la Corte non abbia annullato completamente la decisione. Android ha creato più scelta per tutti, non meno, e supporta migliaia di aziende di successo in Europa e nel mondo". Due mesi e dieci giorni dopo la notifica Google potrà impugnare la decisione.

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