tecnologia

Non solo Kaspersky. Gli antivirus di Mosca che preoccupano l'Italia

Andrea Trapani

Il software di difesa usato sui computer potrebbe diventare una porta di accesso per "bucare" i sistemi di sicurezza delle nostre pubbliche amministrazioni. Il tema della dipendenza da fornitori esterni al mondo occidentale rimarrà attuale per gli anni a venire

In Italia è scattato l'allarme Kaspersky, l'antivirus russo che potrebbe diventare – secondo alcuni esperti – una specie di porta di accesso per "bucare" i sistemi di sicurezza delle nostre pubbliche amministrazioni. La stessa presidenza del Consiglio, da anni, ha fatto importanti acquisti con l’azienda nata a Mosca a fine anni Novanta. Non a caso, nei giorni scorsi, proprio Franco Gabrielli, sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega alla Sicurezza nazionale, aveva dichiarato al Corriere della Sera che era necessario liberarsi “da una dipendenza dalla tecnologia russa. Per esempio quella dei sistemi antivirus prodotti dai russi e utilizzati dalle nostre pubbliche amministrazioni, per evitare che da strumento di protezione possano diventare strumento di attacco”. Da Kaspersky Italia hanno provato a smorzare i toni, ma ormai il dado è stato lanciato. 

     

La questione è seria: molti addetti ai lavori hanno ricordato come uno degli obiettivi che l’Italia digitale deve perseguire è quello di garantire un’autonomia nella gestione delle risorse tecnologiche. Certo è che, a prescindere dalla (più o meno acclarata) bontà della personalità di Eugene Kaspersky, il tema della dipendenza da fornitori esterni al mondo occidentale rimarrà attuale per gli anni a venire. Esiste, allo stesso tempo, anche una visione d’insieme che spesso viene sottovalutata, come hanno mostrato alcuni data breach dello scorso anno.

 

"Oggi per il nostro paese il problema non è (soltanto) Kaspersky, ma è molto più ampio e complesso", ha spiegato il presidente di Anorc Professioni Andrea Lisi all’agenzia Dire. "Infatti, secondo delle recenti analisi dell'Agenzia per l'Italia digitale le piattaforme Cms delle pubbliche amministrazioni non sono aggiornate, quindi le falle non dipendono dagli antivirus russi, ma dal fatto che l'intera filiera non è aggiornata. Forse l'Europa a livello di infrastruttura, di cloud, di sistemi antivirus, di soluzioni dovrebbe iniziare a investire di più sul digitale. Avere soluzioni proprie, europee, che favoriscano la libera circolazione dei dati, ma anche la sicurezza a livello europeo, perché non è soltanto un problema nazionale". Insomma, si rischia più con i mancati aggiornamenti software che con gli attacchi legati al conflitto in corso. Almeno per ora.

  

La rete è d'altronde una delle protagoniste principali del conflitto in corso in Ucraina, tra le necessità di rimanere sempre connessi, per cui è intervenuto perfino Elon Musk, e gli attacchi che Anonymous continua a portare avanti ai danni del Cremlino.

     

Ucraina e Russia, due approcci antitetici

Ci sono stati due approcci completamente diversi: da una parte Putin che, grazie all’iperattivismo di una (pseudo) autorità garante che si è occupata praticamente di ogni social per fermare (sic) le fake news, ha scelto di attaccare la tecnologia nemica ‘targata Usa’, dall'altra Volodymyr Zelensky che invece ha scelto di utilizzare internet come un'arma sfruttando le proprie abilità comunicative. "Tutti ci aspettavamo fin dall'inizio un'azione forte da parte della Russia a livello di cyberwar quindi azioni attraverso hackeraggi, virus, blocco di database di infrastrutture informatiche dell'Ucraina e probabilmente hanno anche tentato di farlo – ha dichiarato Lisi – Inizialmente sembrava dovesse essere una guerra lampo, considerate anche le forze in campo, in cui la Russia avrebbe fisicamente e digitalmente eliminato l'Ucraina".


    

Circostanza che almeno nel primissimo periodo della guerra è accaduta. "Le infrastrutture ucraine sono andate in crash e oggi moltissime armi ucraine sono state bloccate, ma per come si sta sviluppando adesso la guerra è molto più complessa di come l'aveva immaginata inizialmente Putin", ha ricordato Lisi. E secondo l’esperto il motivo è da ricercare nelle "contromisure che Zelensky ha affidato a un'altra modalità del digitale che è stata inaspettata: trasformare una guerra fisica e una (più 'tradizionale') cyberwar in mano ad hacker in una guerra soprattutto di comunicazione. L'abilità di Zelensky e del suo gruppo di comunicazione è stata quella di sfruttare i canali di comunicazione soprattutto quelli social contro Putin".

 Putin ha risposto "da monarca - ha evidenziato Lisi - cercando di chiudere a chiave ciò che non è possibile segregare. Però il bello dei social è che non hanno confini territoriali, la comunicazione non è comprimibile. Lo stesso Twitter, quando hanno provato a bloccarlo, ha trovato delle contromisure per continuare a essere efficace su canali alternativi all'interno della Russia".

Di più su questi argomenti: