Foto: Epa/Michael Reynolds

Putin contro i social

La Russia blocca Instagram e accusa Meta di diffondere odio razziale

Pietro Minto

Dopo Facebook e Twitter, il Cremlino stoppa anche gli altri servizi delle piattaforme di Zuckerberg, in quanto svolgerebbero “attività estremiste” nei confronti di Mosca

Nel giro di una settimana siamo passati dal blocco di Facebook da parte della Russia a quello totale di Meta, il gruppo che comprende Instagram, Whatsapp e le altre province dell’impero Zuckerberg, con il rischio che il governo russo classifichi Meta come “organizzazione estremista”.

Le ultime settimane ci hanno insegnato quanto la storia contemporanea sia avvezza ad accelerate notevoli, in grado di ridisegnare alleanze e stravolgere consuetudini nel giro di poche ore. Fino a qualche giorno fa, ad esempio, il fronte più caldo per Meta sembrava trovarsi tra Washington e Bruxelles, con il Congresso statunitense e l’Unione europea sempre più decise a regolare Facebook e Instagram – o quanto meno provarci. L’invasione russa dell’Ucraina ha cambiato tutto, anche questo, spingendo Nick Clegg, responsabile per i Global affairs di Meta e ormai volto pubblico del gruppo, a passare dal ruolo di ministro degli Esteri di Facebook a ministro della Guerra del social network.

Il rischio che Meta venga bollata come organizzazione terroristica in Russia non viene dal nulla e sembra la risposta a una notizia, circolata nella giornata di giovedì, secondo cui Facebook era disposta a permettere ai suoi utenti di augurare la morte a Vladimir Putin. Una pratica che, normalmente, andrebbe contro le regole dell’azienda sull’hate speech e qualsiasi forma di abuso, ma su cui avrebbe chiuso un occhio, “temporaneamente”: i cinque minuti d’odio antiPutin benedetti da Menlo Park.

La risposta russa non si è fatta attendere: “Quello che Meta sta facendo si chiama incitamento all’odio razziale”, ha dichiarato Anton Gorelkin del comitato russo sulle Tecnologie e le comunicazioni all’agenzia giornalistica governativa Tass – “che secondo la legge russa si qualifica come estremismo”. Così è arrivata la minaccia di bloccare tutti i servizi dell’azienda, aggravando ulteriormente l’isolamento digitale che la Russia sta in parte subendo a causa delle sanzioni, in parte spingendo in prima persona, in una preoccupante deriva autoritaria.

Mentre la Russia bloccava Instagram, nel pomeriggio di venerdì, in molti hanno cercato di ricostruire il filo degli eventi che ci hanno portato a questo punto. Il percorso sembra piuttosto chiaro, almeno in questo caso: comincia con Meta che sembra dare l’ok alle minacce di morte (purché siano filorusse) e finisce con Mosca che risponde con le minacce. A rileggere il comunicato ufficiale dell’azienda californiana, però, si scoprono più sfumature di quelle contenute nei titoli circolati online. In particolare, c’è chi punta il dito su un articolo del sito di Reuters, tra i primi a dare la notizia, il cui titolo recita: “Facebook permette post sulla guerra che spingono alla violenza contro gli invasori russi”. Un titolo allarmante, per un articolo che include un virgolettato di un portavoce di Meta, in cui si spiega come il social network abbia “permesso temporaneamente forme d’espressione politica che normalmente violerebbero le nostre regole, come ‘a morte gli invasori russi’”; ma, si precisa, “non permettiamo comunque incitamenti credibili alla violenza contro i civili russi”.

È da qui che è cominciato tutto: poche ore dopo l’uscita di questo articolo, l’ambasciata russa negli Stati Uniti aveva già chiesto a Washington di intervenire e interrompere le “attività estremiste” di Meta, citando proprio Reuters su Twitter. Secondo Emerson T. Brooking, senior fellow dell’Atlantic Council, è a questo titolo che si dovrebbe l’escalation, anche se una decisione simile sarebbe stata inevitabile: Instagram non poteva durare a lungo in Russia.

La polemica su Facebook ha però permesso a Mosca di spacciare il blocco di Instagram come un atto dovuto, quasi patriottico. Anzi, c’è il rischio che possa tornare utile anche per la propaganda interna, fungendo da “prova” del complotto occidentale contro Mosca e tutte le persone russe. Oppure, più semplicemente, potrebbe aiutare ad addolcire una pillola piuttosto amara per milioni di persone: un servizio come Instagram, tanto diffuso nel paese, adesso non esiste più, ed è scomparso insieme a tanti altri, nel giro di meno di un mese, cambiando per sempre il web russo.

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