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La propaganda del Cremlino preme anche su big tech. Netflix e gli altri

Andrea Trapani

La crescita di piattaforme video popolari come Youtube e Tik Tok è senza freni in Russia. Così come la voglia di moderarle. E ora anche la guerra in Ucraina cambia gli equilibri nel web

Il primo marzo 2022 sembra essere una di quelle date profetiche, almeno per Netflix. Era lo scorso dicembre quando il Roskomnadzor, quello che dovrebbe essere più o meno il regolatore russo per internet e le telecomunicazioni, aveva chiesto alla società americana di trasmettere in streaming una lunga serie di canali della tv di stato

Oggi siamo nel bel mezzo del conflitto ucraino, compreso quello che si combatte fuori dall’agone classico degli eserciti: Anonymous sta rivendicando una serie di attacchi nei confronti della rete russa, Meta (ovvero Facebook e Instagram) ha subìto uno stop ai servizi di “fact checking” oltre ad altre limitazioni e l’account Twitter di Netflix in Russia è silente da quando Putin ha deciso di attaccare l’Ucraina.

   

Cosa ha ordinato la Russia a Netflix

Da tempo il regolatore russo, meglio conosciuto come “servizio federale per la supervisione della connessione e la comunicazione di massa”, è attento su quel che offrono le compagnie straniere che operano nel proprio territorio. Netflix, alla fine del 2021, è stata inserita all'interno della lista dei "servizi audio e video" dell'ente, in teoria una semplice pratica burocratica con cui accumunare tutte le applicazioni che possono registrare più di 100.000 utenti unici al giorno (una bazzecola per il colosso dello streaming). In realtà essere iscritti in quell’elenco porta a una serie di obblighi, tra cui il dover trasmettere all’interno del proprio palinsesto, seppur in streaming, il principale canale russo Channel One, di NTV, che propone principalmente contenuti di intrattenimento, Spas, il canale della Chiesa Ortodossa, e altri contenuti per un totale di 20 canali vicini al governo.

 

Non solo. Sempre da domani Netflix è obbligata a non rendere accessibili tutti quei contenuti che potrebbero "promuovere gli estremismi", una formula che da più parti è stata considerata come un sistema per impedire che passino messaggi ostili a Putin, per esempio di supporto alle opposizioni o di contrarietà al conflitto. Per intendersi, contenuti come “Winter on Fire”, il documentario Netflix sulla crisi in Ucraina, diretto da Evgeny Afineevsky e candidato all’Oscar nel 2016, non saranno più tollerati.

  

La stretta del governo sui contenuti dei provider stranieri

Non sono gli unici contenuti vietati. Mentre scriviamo l’ultimo aggiornamento pubblicato dal Roskomnadzor si rivolge a Tik Tok che viene intimata a rimuovere, tra i video consigliati ai minori, quelli relativi ai militari e azioni di guerra. Sempre stamani, l’attivissimo Roskomnadzor ha voluto ricordare a tutti i media, in maniera prosaica, le proprie responsabilità nella diffusione di messaggi pubblicitari con informazioni false. Insomma, un’attenzione quasi spasmodica a ogni dettaglio tanto che ieri si oltrepassavano i confini delle richieste con un ordine a Youtube, ovvero Google, di ripristinare ai cittadini ucraini (sic) l’accesso ai canali dei media russi presenti sulla piattaforma video. Un cortocircuito in cui si evidenzia la centralità della comunicazione durante questa prima fase della guerra.

  

Non è una novità, certo. Da anni in Russia c'è un crescente numero di problematiche che coinvolge i big player mondiali: a fine novembre la stessa Netflix si era già scontrata con il governo per alcuni contenuti, rischiando una sanzione, mentre Apple è ormai da tempo che porta avanti una battaglia per non cedere sui propri pilastri, tra cui i pagamenti attraverso App Store e la privacy garantita dai suoi prodotti. Perché se c’è una cosa contro cui i nazionalismi non potranno mai intervenire è proprio la tecnologia: l’affermazione di sistemi operativi come Android o iOS non segue i confini geopolitici, la loro affermazione è globale come quella dei social network. Se proprio in Russia e Ucraina VKontakte rappresenta ancora la maggiore rete sociale per i cittadini, dall’altra parte la crescita di altre piattaforme video popolari come Youtube e Tik Tok è senza freni. Come la voglia di moderarle.

     

Tanto è vero che, già a settembre, si stava continuando a seguire la linea cinese per cercare di limitare l’accesso agli utenti. Le Vpn sono diventate sempre più popolari anche in Russia, anche banalmente per vedere video in anteprima su Netflix come fa gran parte della popolazione mondiale, tanto che esiste una norma particolare. Le Vpn non sono illegali in Russia, ma devono essere approvate dallo stato: insomma, il governo impone i siti ai quali gli utenti possono e non possono accedere, oltre a supervisionare gli utenti stessi. È per questo motivo che molti provider hanno smesso di offrire i loro servizi già a partire 2019. Dall’autunno 2021 questo controllo è diventato ancora più esplicito. Anche in questo caso con una lista di buoni e cattivi.

 

 

Cosa resta da fare? Netflix sa che qualunque azione sceglierà di adottare, conformarsi o meno alla decisione del Roskomnadzor, avrà riflessi politici come non mai. Lo streaming oggi non è solo intrattenimento, durante un conflitto è un mezzo per affermare la propria visione del mondo. Lo sa bene anche Mykhailo Fedorov, vice di Zelenskyy e ministro della transizione digitale, che ha chiesto esplicitamente a Netflix di bloccare i suoi contenuti in e dalla Russia. Il silenzio stavolta non è un’opzione.