Un robot giapponese dirige l’Orchestra sinfonica di Detroit (Paul Sancya / AP Photos)

Il Foglio Innovazione

Un melomane in streaming

Roberto Raja

Se preferisci Beethoven a Jay-Z, allora Spotify ti va stretto

Questo articolo è stato pubblicato sull'ultimo numero del Foglio Innovazione, il mensile curato da Eugenio Cau. Il prossimo numero uscirà martedì 7 luglio. E potrete trovarlo nella nostra edicola digitale a partire dalle 23.30 del 6 luglio   


 

Cerca. Beethoven… sinfonia… 5… Invio. “Risultato più rilevante”: la Quinta diretta da Carlos Kleiber, interpretazione ormai storica. Benissimo. Poi, “Brani”. Brani? In realtà, in ordine sparso, i movimenti della sinfonia che si possono ascoltare singolarmente: Andante con moto, Allegro, Allegro con brio… (No, pardon, l’Allegro con brio non è quello della Quinta ma della Terza sinfonia: sarà stato il numero d’opera, 55, a confondere l’algoritmo?). E poi ancora “Album”: la Quinta in altre versioni e qua e là per sbaglio, sempre di Beethoven, il Concerto per pianoforte n. 5. E infine l’immancabile totem di ogni piattaforma streaming: “Playlist”. Che qui dove mi trovo è un po’ anomala: la nostra sinfonia con una sorella, come si faceva e si fa ancora anche nei dischi, magari con interpreti diversi. Niente di speciale, salvo il colpo d’ala di una lista che in coda ai quattro movimenti della Quinta aggiunge Fortunate Son dei Creedence Clearwater Revival. Il perché bisognerebbe chiederlo a pmarinperez1 che, pare di capire, è l’autore della proposta, con la quale s’è guadagnato “2 mi piace”.

 

Navigo per la prima volta su Spotify, apprezzo con riserva il vasto mare “free” che mi circonda, ma questo direi che non mi piace. Oltretutto non ho trovato quello che cercavo. Mi ci vorrà poco, però: basterà digitare nella ricerca “symphony” al posto di sinfonia e si aprirà un altro mondo. Basterà scrivere Beethoven e il nome dell’interprete per vedere e ascoltare questa esecuzione di cui molto si parla. Ma le approssimazioni nei riferimenti alle opere, la loro distribuzione, la stessa home page che ammicca al visitatore melomane senza riuscire a nascondere dalla vita in giù la sua vera natura pop, le sue playlist “Pausa” (soprattutto in modalità “sleep”, “notte”, “Hawaiian dreams”), “Voglia di cantare”, “Buonumore”, “Malinconia”… bè, tutto questo spinge chi ha una certa confidenza con la musica classica a cercare altrove.

 

Combattuto fino all’altro ieri sulla parte da prendere tra analogico e digitale, certo della necessità della musica riprodotta e pure certissimo della prevalenza della musica dal vivo, ho mosso nei giorni del lockdown i primi passi nel mondo dello streaming. Prima ero stato trattenuto non tanto dalla inadeguatezza delle piattaforme (dicono: sono state create per il pop, la canzone è il format di base, un titolo e il nome dell’interprete, stop. Come la mettiamo con un’opera che è articolata, che ha un autore e uno o più interpreti?) o dalla modesta qualità della riproduzione sonora (problemi in parte superati), quanto da una vaga percezione di inutilità della cosa. Si chiama anche horror pleni: la vastità dell’offerta che inibisce la scelta. E quand’anche fossi spinto dalla curiosità a piluccare qua e là, sento la noia dietro l’angolo: al terzo o quarto brano interrotto per passare compulsivamente a un altro, abbandonerei. E poi, come ascoltare tutta questa musica? Dal telefonino con gli auricolari? Non fa per me. Anche se capisco che, a qualunque genere appartenga, attraverso l’ampia disponibilità dello streaming e il format della playlist possa essere richiesta e offerta come musique d’ameublement, come arredamento sonoro: prima del sonno o nel tragitto casa-lavoro.

 

Comunque, alcune piattaforme streaming hanno cercato di adeguarsi ai modi della musica classica. E in streaming ho trovato, nei giorni del lockdown, quello che cercavo. All’inizio di aprile è uscita una nuova incisione della Quinta sinfonia di Beethoven diretta da Teodor Currentzis, la bacchetta più eterodossa e forse talentuosa oggi in attività (il forse è dato dai pochi che viceversa lo detestano). Ma il cd sarà disponibile solo tra una decina di giorni. Ecco dunque la mia ricognizione, partita da Spotify e soggetta a qualche digressione.

 

Tidal è stata la prima piattaforma a puntare sulla qualità della riproduzione sonora (19,99 euro al mese l’abbonamento HiFi) ma l’offerta di musica classica è ancora un po’ confusa. Prevale la logica delle playlist, anche chilometriche. Mi fermo un momento con l’occhio sull’ennesima che sembra in tema, doppiamente: “Work from home with Beethoven”. Trovo per sbaglio un’altra Quinta di Beethoven, senza alcuna indicazione: organico indefinibile, sembra un sintetizzatore con sottofondo marino. Inorridirei se non vedessi quattro tracce più in là una “Relaxing guitar version” dell’Inno alla gioia. Ma perché? Prima di scappare via, mi fermo sulla finestra Esplora: Beethoven… 5… Symphony… escono tre album, nemmeno di primo piano, ma sulla destra c’è una piccola etichetta “vedi tutto”. Vedo. Una pagina che non finisce mai, conto fino a 150 versioni della sinfonia poi mi fermo spossato. E cambio piattaforma.

 

Scovata – non è così immediato – la finestra della ricerca in Primephonic, piattaforma solo classica con base ad Amsterdam (9,99 euro al mese in qualità 320 kbps Mp3, 14,99 per 24 bit Flac audio) cerco anche qui la fatidica Quinta. Il tasto dell’invio apre le cateratte del magazzino Primephonic che scodella 837 “versioni registrate” della sinfonia. Non ho verificato, anche se mi rimane il sospetto che siano conteggiate, secondo la legge dello streaming pop, le singole tracce (per la Quinta, per esempio, i suoi quattro movimenti). Comunque, con la cascata di possibilità d’ascolto che la pagina lascia intuire si fa prima a dire sulla fiducia che c’è tutto piuttosto che a capire che cosa ci sia realmente. La catalogazione non aiuta, pur proponendo la scelta tra ordini diversi, e l’ordine alfabetico è il più infido perché allinea – American Symphony Orchestra, André Cluytens, André Previn… – ora il nome dell’orchestra ora il nome (di battesimo!) del direttore.

 

Anche Idagio, servizio “made in Berlin”, propone uno streaming “reinventato per la musica classica” (gratuito in qualità Mp3, 9,99 euro al mese – 4,99 ridotto per studenti – in qualità lossless). La sua banca dati è un po’ meno ricca di Primephonic (ma siamo sempre sopra i due milioni di tracce), la navigazione, in compenso, è più facile e ordinata. Primephonic vuole darsi un’aria giovanile e accattivante e apparecchia l’home page con una lunga serie di piatti pronti, comprese le solite playlist d’accompagnamento per ogni occasione. Idagio è più sobrio, e soprattutto crea anche playlist di album e opere intere, non di singole tracce: una scelta nel centenario beethoveniano, novità discografiche, interpretazioni lodate dalla critica.

 

Su questa linea si muove anche la francese Qobuz, che presenta pure un catalogo pop-rock e jazz ma tra tutte le piattaforme sembra la più adeguata alla musica classica, e con una qualità di riproduzione analoga a quella di Tidal (tre formule di abbonamento da 9,99 euro al mese. Con 24,99 euro è assicurata, quando la registrazione lo consente, l’alta risoluzione 24-Bit/fino a 96 kHz, che meriterebbe naturalmente non dei semplici auricolari ma un’amplificazione dedicata e un ascolto in poltrona). Qualche occasionale passaggio non proprio lineare da una traccia all’altra è compensato da una home page intelligente con playlist focalizzate su un interprete o un tema, brevi testi di approfondimento (in italiano) e video. E con una cuffia semiprofessionale la Quinta di Beethoven diretta da Currentzis suona sontuosa ed elettrizzante.