La fondatrice di Theranos, Elizabeth Holmes (foto LaPresse)

Storia del declino di Theranos, la start up (non tanto) rivoluzionaria

Eugenio Cau

Il gioiello di Elizabeth Holmes, che voleva cambiare la medicina moderna, aveva fatto innamorare la Silicon Valley e convinto fior di investitori a finanziare il progetto. Ma si è rivelato una bolla e un monito per il futuro: senza implementazione, le idee non bastano.

 

Negli ultimi mesi il romanzo del declino precipitoso di Theranos è diventato nella Silicon Valley una parabola in controtendenza rispetto alle vicende di successo che sono magnificate nell’universo tecnologico americano, e secondo il Wall Street Journal anche una “cautionary tale”, un ammonimento, nei confronti di quegli imprenditori tech carismatici che accumulano milioni, a volte miliardi di dollari per finanziare imprese apparentemente rivoluzionarie.

 

L’imprenditrice in questione è Elizabeth Holmes, fondatrice e ceo di Theranos, archetipo del genio visionario della Silicon Valley che abbandona un’università di prestigio (in questo caso Stanford) per inseguire il suo sogno tech. Imitatrice di Steve Jobs nel carisma e perfino nei dolcevita neri, a tal punto capace di convincere la Valley del suo progetto “disruptive” che il più grande guru-investitore della tecnologia americana, Marc Andreessen, ha definito Holmes la prima donna capace di entrare nell’empireo degli “imprenditori rivoluzionari”.

 

Il suo progetto rivoluzionario si chiama Theranos, startup il cui obiettivo è cambiare per sempre “ciò che non va nella medicina moderna”, come si sente in uno dei video promozionali sul sito della compagnia. Per farlo, Holmes ha creato una macchina innovativa e molto segreta chiamata Edison, che secondo la sua creatrice riesce a fare 240 tipi di esami diversi, dal colesterolo al cancro, partendo da pochissime gocce di sangue prelevate con una punturina indolore dal dito del paziente. Basta aghi, basta con le tante provette riempite di sangue per gli esami più complessi, basta la tediosa ripetizione dei prelievi, uno per ogni esame: poche gocce sono sufficienti per tutto. Ciò che è ancora meglio è che i risultati degli esami, visto che tutto il processo è meccanico e operato da Edison, senza l’intervento lungo e inefficiente di medici e tecnici di laboratorio, è praticamente immediato. Nel giro di poche ore, spesso dopo appena un quarto d’ora dal prelievo, il paziente e il suo medico di fiducia ricevono tutti i risultati in formato digitale. Questo può essere non solo comodo per il paziente, ma un salvavita in casi di emergenza medica, in cui i risultati dei test devono essere consegnati immediatamente.

 



 

L’idea è rivoluzionaria, disruptive nella misura in cui è capace di cambiare l’approccio alla sanità, e degna dell’élite della Silicon Valley – e così viene accolta dagli investitori. Nel 2014, dopo una serie di round di finanziamento da centinaia di milioni di dollari, Theranos ottiene una valutazione di mercato di 9 miliardi di dollari, al pari delle aziende prodigio come Uber e Airbnb.

 

L’anno successivo iniziano ad aprirsi le prime crepe. In un reportage pubblicato a ottobre 2015 dal Wall Street Journal e basato sulle testimonianze di alcuni ex dipendenti, si scopre che in realtà Theranos non usa quasi mai la sua macchina delle meraviglie per fare gli esami del sangue: nel dicembre del 2014, per esempio, solo 15 test su 205 furono gestiti con Edison. Per tutti gli altri Theranos aveva comprato macchinari medici tradizionali da compagnie come Siemens. Il Wsj riportava anche la testimonianza (smentita da Theranos) della vedova di Ian Gibbons, biochimico inglese assunto da Holmes nel 2005 per sviluppare alcuni elementi chiave dei test di Edison, morto suicida nel 2013. Prima di uccidersi, ha detto la vedova al giornale americano, Gibbons diceva che a Theranos “non funzionava niente”. L’inchiesta aggiungeva altre testimonianze inquietanti su test manipolati e su risultati pericolosamente discordanti tra i test fatti da Theranos e quelli fatti con sistemi tradizionali.

 

Da lì in poi è stata una valanga. Un report uscito all’inizio del 2016 dimostrava come la compagnia avesse continuato a fare test che non superavano nemmeno i suoi standard qualitativi interni. Lo scorso aprile i procuratori federali hanno aperto un’inchiesta criminale contro Theranos, accusando Holmes di avere ingannato gli investitori sulle reali capacità tecnologiche della sua creatura. Negli stessi giorni, Theranos rendeva nulli i risultati di tutti i suoi test effettuati nel 2014 e nel 2015.

                                   

Il colpo mortale è arrivato la scorsa settimana, quando l’agenzia federale che regola i laboratori medici e diagnostici negli Stati Uniti ha revocato a Theranos la licenza a operare per un suo laboratorio in California a causa di “pratiche non sicure”, e ha bandito Holmes per due anni dal business degli esami del sangue, comminandole una multa da diecimila dollari. Nel frattempo Forbes, che aveva stimato il patrimonio di Holmes intorno a 4,5 miliardi di dollari (la metà del valore stimato di Theranos, di cui Holmes possiede il 50 per cento) aveva rivisto la cifra a zero, condannando con la fondatrice anche l’azienda.

 

Theranos, che ha ancora centinaia di milioni di dollari di patrimonio, nega da sempre gran parte delle accuse e giura che il bando di due anni consentirà all’azienda di rimettersi in piedi più forte che mai. Ma pochi nella Valley credono a queste promesse. In un articolo pubblicato oggi sul Wall Street Journal, la cui eccezionale campagna stampa ha portato alla luce le magagne della società, si racconta come fossero molti i campanelli d’allarme che non hanno suonato – almeno per gli investitori più ingenui. La Silicon Valley è così affamata di idee rivoluzionarie da correre il rischio di credere a chiunque gliene proponga una con sufficiente energia e carisma: Elizabeth Holmes non manca certo di nessuna delle due.

 

Ma a osservare il pool di chi ha messo milioni e a volte miliardi in Theranos, si nota come gran parte delle maggiori società di investimento che operano nella Valley si siano tenute lontane da Holmes fin dall’inizio. Di queste solo una ha investito un miliardo di dollari, la Draper Fisher Jurvetson, ma solo perché uno dei partner, Tim Draper, era amico di famiglia di Holmes. Gli altri investitori che hanno fatto le fortune di Theranos vengono da società semisconosciute o di seconda e terza fascia. I grandi guru della Valley, dice il Wsj, avevano capito che la tecnologia di Theranos era “troppo bella per essere vera”, ma questo non ha impedito alla compagnia di raggiungere quotazioni stellari. Antonio García Martínez, nel suo ultimo libro sulla Silicon Valley, ha scritto che “le idee senza implementazione, o senza un team eccezionale a implementarle, sono come gli idioti e le opinioni: tutti ne hanno una”. Ma a volte, perfino nella Valley, le idee senza implementazione bastano a convincere anche i savi investitori.

  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.