La copertina del report di Citi, che analizza come il fintech sta cambiando completamente il “vecchio” mondo delle banche

Le nuove banche d'Italia

Stefania Nicolich

Aumentano gli investimenti nelle startup che creano servizi finanziari tecnologici innovativi. Indagine su un mondo che gli istituti di credito non possono più ignorare.

Viviamo da tempo, si sa, in un mondo sempre più digitalizzato e in continua innovazione tecnologica. Il settore che in particolare al momento sta attraversando una rivoluzione digitale è quello finanziario. Il report Digital Disruption di Citi di marzo 2016 descrive come il “fintech” (Financial Technology) stia cambiando il mondo della finanza. Gli Stati Uniti e l’Europa si trovano a un punto critico, specialmente per quanto riguarda il retail banking. Le banche per rimanere competitive hanno bisogno di armarsi della tecnologia prima che le fintech trovino la possibilità di scalarle. In Cina questo punto critico è già stato superato. Alipay, il sistema di pagamenti simile a PayPal ma del gruppo Alibaba, nel 2015 è riuscita a muovere un volume di pagamenti tre volte quelli di PayPal, con un valore stimato pari a 900 miliardi di dollari. L’India è la prossima grande opportunità per le fintech. Jamie Dimon, ceo di JP Morgan ha detto che “la Silicon Valley sta arrivando. Ci sono centinaia di startup che hanno sia le capacità sia i finanziamenti e stanno lavorando su varie valide alternative al modello della banca tradizionale”. E Già nel 1994 (sul numero di BusinessWeek del 31 ottobre) Bill Gates aveva affermato che servivano più servizi bancari e non più banche, definendole dei dinosauri.

 

Il 2015 è stato l’anno in cui il fintech è entrato nel mainstream, stando al report di KPMG e CB Insights, “The pulse of FinTech 2015 in Review”. Lo scorso anno, infatti, gli investimenti dei Venture Capital in società fintech sono duplicati rispetto al 2014. Negli Stati Uniti i fondi stanziati per le società fintech ammontavano a 7,39 miliardi di dollari con 351 trattazioni (una crescita del 75 per cento rispetto all’anno prima), mentre l’Europa ha raccolto 1,48 miliardi di dollari in 125 trattazioni. Nel nostro paese, secondo i dati di StartupItalia!, nel 2015 gli investimenti nel fintech sono stati di 33,6 milioni di euro, valore quadruplicato rispetto al 2014. Sono 115 le startup in fintech, il 47 per cento delle quali sono classificate come “innovative”. In tutto il mondo, gli investitori sono stati catturati dal potenziale delle startup fintech, non solo perché sono viste come lo strumento per una sorta di ribellione alle tradizionali grandi banche, ma anche perché sono identificate come portatrici d’innovazione all’interno delle stesse.

 

I consumatori hanno sempre più accesso ai servizi tramite smartphone e la generazione dei millennial chiede sevizi più personalizzabili e convenienti. Ormai anche le banche non possono ignorare le richieste di un mondo più semplificato e a portata di mano. La rivoluzione è imperativa. Rimane da capire se gli istituti finanziari sono disposti a collaborare con le startup in campo fintech per rinnovarsi. Qui viene il difficile. Secondo il report di Kpmg, le grandi banche e assicurazioni cercano partnership con le società fintech per avere vantaggi reciproci. Parte del vantaggio competitivo delle banche è la fiducia dei clienti. Fiducia che, dalla crisi finanziaria del biennio 2007-2008, sembra perduta e ancora non recuperata almeno per quanto riguarda l’Italia, secondo l’indagine di Edelman “Trust Barometer”.

 

Secondo il fintech global report di Pricewaterhousecoopers, invece, gli istituti finanziari sono preoccupati di poter perdere competitività e quote di mercato. La rivoluzione digitale sta trasformando il modo in cui i consumatori accedono ai prodotti e servizi finanziari. I trend in campo fintech che stanno sempre di più emergendo porteranno a migliorare l’esperienza del consumatore grazie a servizi più gestibili in autonomia, con sofisticate piattaforme di analisi dei dati e un maggior sviluppo della cybersecurity. Quello che le startup in questo campo stanno cercando di eliminare è proprio l’intermediazione, provvedendo servizi che possano rendere il consumatore più attivo e consapevole nella gestione dei propri investimenti e del controllo del proprio denaro.

 

Nel report di Pwc sono state interpellati le migliori istituzioni finanziarie nel mondo, coinvolgendo 544 individui tra ceo, head of innovation, cio (Chief Information Officers) e dirigenti coinvolti nella trasformazione digitale e tecnologica, in 46 paesi diversi. La maggiore minaccia che gli intervistati avvertono è la pressione sui margini di profitto. Le startup fintech riescono a mantenere i propri margini, tenendo al minimo i costi operativi. Prodotti e servizi vengono venduti in modo diretto e la loro struttura è più agile e dinamica rispetto alle tradizionali figure presenti sul mercato. Altri rischi considerati sono la minaccia di perdere quote di mercato, di sicurezza delle privacy e di aumento dell’abbandono dei clienti. Sul fronte delle opportunità create dall’arrivo di queste nuove realtà, gli intervistati considerano la possibilità di ridurre i costi, differenziare l’offerta, poter migliorare il rapporto/comunicazione con i consumatori e infine poter aumentare le vendite.

 

Il 32 per cento degli istituti finanziari intervistati è coinvolto in una partnership con startup fintech mentre il 25 per cento non lo è, il 22 le compra e le vende e il 15 per cento ha creato programmi di incubazione. Ad esempio, in Italia, MedioBanca nel 2008 ha dato vita alla banca retail Che Banca! con l’obiettivo di andare oltre il modello bancario tradizionale. Per aiutare le startup fintech a emergere, dall’anno scorso Che Banca! organizza una competizione annuale con in palio un premio in denaro e un periodo di formazione. A proposito della relazione banche-startup, Roberto Ferrari, direttore generale di Che Banca! durante il FinTechStage di Milano il 5 maggio scorso, ha spiegato: “Le banche italiane due anni fa erano terrorizzate dal fintech, ora c’è un approccio diverso. Il primo impatto era ovviamente di paura, però, o si affronta la situazione che evolve e la si riesce a portare a proprio vantaggio o si muore. A lungo termine il fintech potrebbe dare una mano alle banche piccole più che a quelle grandi. La concorrenza si evolve, quindi devi evolverti anche tu”.

 

Il FinTechStage è un’altra iniziativa, nata nel gennaio del 2015 da Matteo Rizzi e Lazaros Campos, per aiutare queste startup a emergere. “La nostra idea – ha spiegato Matteo Rizzi – si propone di creare un ecosistema per lo sviluppo delle startup del fintech, accompagnarle, metterle in contatto tra loro e portarle a livello internazionale”. Le nuove imprese sono considerate una minaccia dagli istituti di credito? “Le banche internazionali con grande copertura difficilmente temono le fintech – continua Rizzi – E’ più probabile che le quelle regionali, più legate al territorio, possano temerle”. Sempre che prima non vengano comprate dalle banche più grandi. Ma se il mondo bancario guarda talvolta con titubanza l’innovazione tecnologica in campo finanziario, quello delle startup è convinto di avere la soluzione a molti problemi. Pietro Cesati, ceo della startup Soisy (si legge come l’inglese “so easy”), conferma al Foglio che “le banche guardano ancora con un po’ di diffidenza queste startup in campo fintech, e al momento non stanno facendo molto, ma sicuramente nel futuro si vedranno costrette a collaborare”.

 

Soisy è una piattaforma web e mobile nata il 26 gennaio del 2015 per agevolare il prestito tra privati senza passare attraverso la trafila burocratica della banca. Si può ottenere un prestito in pochi giorni e ricevere gli interessi dell’investimento già dopo il primo mese, i richiedenti prestito pagano rate più basse e gli investitori guadagnano di più con un rendimento più alto. Soisy è un istituto di pagamento vigilato da Banca d’Italia dal 10 novembre 2015, garantisce solo il funzionamento del marketplace all’interno della piattaforma totalmente online, evitando i costi che invece si caricano le banche gestendo il credito. Chi richiede un prestito può ottenere un finanziamento da 1.000 a 30.000 euro, mentre gli investitori possono investire da 10 a 50.000 euro. La soluzione innovativa della startup è la garanzia di rendimento – una sorta di salvadanaio a cui gli investitori possono contribuire – obbligatoria per gli investimenti sotto i 1.000 euro e opzionale per cifre superiori. L’investitore rinunciando a una parte del proprio rendimento riesce a diminuire il rischio, quindi a personalizzarlo come meglio crede. La garanzia di rendimento è una forma di prevenzione e interviene immediatamente se uno o più prestiti sono insolventi, restituendo ogni mese sia il capitale sia gli interessi. La struttura della startup è molto semplificata e in questo modo riesce a fornire un servizio di prestiti più vantaggioso per entrambi i clienti e più competitivo rispetto alle banche. La maggior parte dei dipendenti lavora da remoto, il lavoro è organizzato e tenuto sotto controllo grazie all’utilizzo di un app per la gestione di progetti, Trello. Una settimana l’anno si riuniscono nello stesso luogo e lavorano tutti insieme. Quest’anno il posto prescelto sono le Dolomiti.

 

 

Valentin Stalf, ceo di Number26, parlando con il Foglio si chiede: “Perché le banche dovrebbero temere le startup? All’interno del mercato ci sono grandi opportunità”. Raccontando la sua esperienza di partnership con le banche, Stalf spiega che spesso “i presidenti e i ceo sono anche visionari, pronti a collaborare e a innovare”. Peccato che “quando è il momento di agire, le banche a livello operativo sono molto lente”. Number26 si autodefinisce “la più moderna banca europea”, completamente digitale: la gestione del proprio conto avviene tramite un app da smartphone. Non ci sono costi di apertura e di gestione, si possono effettuare pagamenti e prelievi in qualsiasi paese senza costi. Ci si registra tramite Skype con un passaporto o carta d’identità digitale con gli ologrammi e dopo due giorni arriva la carta di credito Mastercard. L’app inoltre fornisce un resoconto di come spendi i soldi raggruppandoli automaticamente in grandi categorie. Nata nel 2013 con sede a Berlino, è riuscita a ottenere un finanziamento di 10,6 milioni di dollari da Valar Ventures, il venture capital di Peter Thiel, co-fondatore di Paypal.
Number26 alla fine dell’anno scorso ha lanciato il proprio servizio in Italia e ha avuto un tale successo che a un certo punto si è vista costretta a sospendere le nuove iscrizioni perché la disponibilità delle carte di credito era terminata. Il servizio tornerà attivo indicativamente fra un paio di mesi. Il nome della startup fa riferimento ai ventisei quadratini che formano il cubo di Rubik, irrisolvibile senza una strategia in partenza.

 

 

Davide La Spina, ceo di WolfWay, spiega al Foglio che “lo scenario è molto interessante. Da una parte ci sono le banche, resistenti al cambiamento e all’innovazione per diversi motivi. L’idea di stabilità che è intrinseca nella cultura dei tradizionali istituti di credito fa sì che abbiano una radicata inerzia al cambiamento. Inoltre, il mondo bancario ha avuto sempre naturali barriere d’ingresso di nuovi competitori e quindi non è mai stato necessario puntare sull’innovazione tecnologica. Infine, le banche sono soggette a vincoli normativi e organizzazioni monolitiche che rendono difficile l’adozione di sostanziali cambiamenti. Dall’altra parte, le startup fintech sono il risultato di una serie di eventi che hanno reso obsoleti i sistemi tradizionali delle banche. Eventi chiave sono stati la crescente sfiducia verso il mondo finanziario causato dalla crisi finanziaria del 2007 e l’esplosione dell’innovazione tecnologica”. Prosegue La Spina: “Oggi le banche non sono in grado di adottare in autonomia il cambiamento, sia per incapacità di cambiare approccio – infatti alcune di loro stanno facendo resistenza perdendo competitività – sia per la loro natura, non essendo abbastanza agili e veloci per comprendere e integrare le nuove tecnologie. Alcune banche vedono le startup come pericolosi concorrenti, altre, invece, come opportunità per evolversi e rimanere al passo coi tempi”. Il problema non è solo italiano, però: “Lo scenario all’estero di base è analogo, con la differenza che si sono accorti molto prima di noi della necessità di cambiare e collaborare e quindi la resistenza è notevolmente più bassa”.

 

Negli anni a venire questo scenario può portare a grossi cambiamenti, tanto che McKynsey prevede che da qui al 2025 le banche potrebbero perdere nel retail dal 10 al 40 per cento di fatturato a causa della concorrenza delle fintech. Il suggerimento di La Spina è che “non deve essere una sfida tra banche e startup, ma un’opportunità per entrambi per creare un cambiamento necessario nel mondo finanziario: le prime hanno esperienza e risorse, le seconde una capacità di innovazione tecnologica senza eguali. Le banche hanno abbastanza risorse per investire sulla ricerca: ad esempio, acquisendo le startup stesse si potrebbero ottimizzare gli investimenti”. WolfWay è la nuova piattaforma di Wolf of Trading, lanciata il 19 e 20 maggio scorso all’IT Forum di Rimini, che permette di conoscere in tempo reale come stanno operando migliaia di trader in tutto il mondo, ad esempio su cosa investono, che risultati ottengono e addirittura cosa hanno intenzione di fare e quali obiettivi perseguire.

 

Wolf of Trading, nato circa un anno fa, in sole due settimane dal lancio ha raccolto più di 2.000 utenti registrati e si è aggiudicato numerosi premi e riconoscimenti. Grazie ai primi investitori, Davide La Spina ha finanziato lo sviluppo di una nuova piattaforma più potente e con algoritmi di analisi evoluti, offrendo servizi unici. La nuova piattaforma è stata progettata sulla base dell’esperienza di ricercatori e professionisti del settore finanziario.

 

Scrivendo le parole “banca” e “startup” vicine sembra di formulare un ossimoro. Banca: tradizione e burocrazia. Startup: innovazione e tecnologia. La burocrazia, la rigidità di pensiero, la ritenzione del rischio, possono essere degli inibitori per i grandi istituti finanziari a collaborare con realtà più agili. Deutsche Bank, una delle banche europee più grandi, ha pubblicato un report FinTech 2.0, spiegando alle banche come collaborare con queste nuove realtà per creare moderne opportunità. Le banche saranno sempre più sotto pressione per innovare e l’innovazione dovrà essere sempre più parte integrante della loro cultura. Devono imparare dalle startup fintech che in questo mondo digitale incentrare la propria attenzione sul cliente è vitale per la sopravvivenza. Certamente costituire partnership potrebbe far risparmiare molto agli istituti finanziari che, come ha reso noto Davide Serra, ceo di Algebris investment, al FinTechStage di Milano il 5 maggio, spendono all’anno 800 miliardi di dollari per capire la tecnologia e per capire come sfruttarla a proprio vantaggio.

 

Senz’altro il costo per le banche per adattarsi ai nuovi modelli richiederebbe uno sforzo troppo grande e un periodo di tempo troppo lungo. Nel combinare le energie e creare sinergie, le banche e le startup possono guidare insieme l’avanzamento verso un’èra digitale del settore. Questi due sistemi apparentemente opposti potrebbero compensarsi. Grazie al nuovo ecosistema che si sta sviluppando, col tempo questo tipo di collaborazioni diventerà sempre più facile. Le startup che ci riusciranno, però, devono tenere in mente di non tradire il loro tratto caratteristico rivoluzionario, evitando di finire intrappolate in schemi antiquati e burocrazie inutili. Il consiglio di Valentin Stalf alle startup, come chiusura del suo discorso al FinTechStage, è stato: “Lavorate duramente, tenete alta l’innovazione e mettete in discussione tutto”. Ribellatevi.

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