Proteste dopo il crac di Banca Etruria, Cariferrara, Banca Marche e Carichieti (foto LaPresse)

I cialtroni della guerra alle banche

Giuliano Ferrara
Sono diventate l’incubo, l’avversario da abbattere, la prova della malattia che ci affligge. Ma siamo diventati pazzi? Perché la politica non sa difendere le banche da una nuova lotta di classe. Storia di una grande menzogna.

Le banche mettono commissioni ai correntisti, propongono loro investimenti finanziari e per convincerli fanno la ruota come il pavone, custodiscono impieghi e prestano soldi con conseguenze non sempre salutari per i loro bilanci, e fanno tanti altri impicci, ma tanti, nel ramo dell’economia finanziaria; però, tra tante attività, affettano per noi pane e salame. E in molti, chi per ideologia, chi per rancore sociale generico, chi per disattenzione, tendono a dimenticarlo. Fanno delle banche oggetto d’odio, e scassano le loro vetrine, idealmente o materialmente, appena possono.

 

Una volta l’avversario o il nemico di classe era il padrone degli strumenti di produzione, colui che sfruttava il lavoro e imponeva condizioni di esistenza invivibili a operai sottopagati e a impiegati frustrati, colui che divideva le maestranze, che piegava i sindacati con l’ausilio dei capi, che usava del denaro ovvero del profitto allo scopo di edificare la società del privilegio e della diseguaglianza. Tempi moderni. In tale quadretto, né falso né vero, o forse falso del tutto, o forse parzialmente vero, le istituzioni finanziarie o banche erano strumenti ausiliari inessenziali. Inessenziali alla letteratura o al racconto classista, che certo prediligeva da sempre anche l’immagine alla Grosz del banchiere come di un rapace, ma il vero obiettivo polemico era lo statuto proprietario capitalistico che il banchiere difende.

 

Ora con la finanza più o meno creativa o distruttiva (nel capitalismo le due cose praticamente si equivalgono) e con le superpolitiche monetarie delle Banche centrali, con i regolamenti, gli statuti, le diverse élite al timone di commissioni esecutive, governi sovranazionali, eurocrazie percepite come insane burocrazie irresponsabili, ora con tutto questo le banche diventano per definizione l’avversario da abbattere. Diventano l’incubo, la prova della malattia sistematica che ci affligge, le maggiori responsabili dei sogni che svaniscono, della vita stessa delle persone messa a repentaglio da loschi maneggi, e così via. Non è che la gente abbia cominciato a nutrire una sana e informata diffidenza su come le banche sono gestite, anche quello è successo, magari, almeno un po’; il fenomeno più rilevante è l’idea che di una sana gestione delle banche, corrispondente a una sana gestione dello sviluppo e della crescita economica, si possa fare a meno, come del carbone che porta cambiamento climatico, come della pesca che svuota i mari della differenza biologica, come della carne che inquina lo spirito.

 

Diventate idoli da distruggere in sé, purtuttavia le banche, e lo avremmo dovuto capire durante la crisi finanziaria greca, quando banche fallite potevano dare solo sessanta euro giornalieri allo sportello e dovevano contare su nuovi prestiti per non chiudere baracca e burattini, custodiscono quel che è nostro, pane e salame, appunto. E devono reggersi in piedi, sennò sono guai. Questo non è semplicismo e non è pensiero economico, è senso comune smarrito, qualcosa di più del semplicismo e qualcosa di meno dell’economismo scientifico. Le banche andrebbero difese, questo è l’interesse del popolo. Alle classi dirigenti, Brexit o non Brexit, va rimproverato di non saper difendere le banche, la loro salute, la coalizione di interessi che le fa vivere, e che va dal piccolo correntista ai grandi azionisti e ai grandi investitori e speculatori finanziari. Numeroso e determinante, il piccolo correntista è nell’insieme un mastodontico fondo d’investimento e un potente motore speculativo, Varoufakis direbbe un “Minotauro globale”. Invece si fa il contrario: si dice che è colpa delle banche, e così ci si castra per fare dispetto alla moglie.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.