Inizia la quarta èra di internet, dove tutto è connesso e il web non esiste più

Piero Vietti
Chiedete a un trentenne quante ore al giorno passa connesso online, e avrete in risposta un numero molto alto. Chiedetelo a un diciottenne, e quel numero sarà ancora più grande. Fate la stessa domanda a un dodicenne, e vi sentirete replicare: “Cosa vuol dire online?”.

Roma. Chiedete a un trentenne quante ore al giorno passa connesso online, e avrete in risposta un numero molto alto. Chiedetelo a un diciottenne, e quel numero sarà ancora più grande. Fate la stessa domanda a un dodicenne, e vi sentirete replicare: “Cosa vuol dire online?”. Esiste già una generazione per cui il significato di connessione a internet non vuol dire più nulla, non perché non navighi sul web o non utilizzi le applicazioni su tablet e smartphone di mamma e papà, ma perché nella loro esperienza non c’è reale distinzione tra essere online e offline. La tecnologia ci immerge quotidianamente in un mondo digitale dai confini sempre più labili: gli smartphone sono diventati protesi innestate perennemente nei nostri arti, finestre aperte su un mondo altro che si sovrappone a quello che abbiamo dinanzi agli occhi, un grottesco già e non ancora infinito, che si ripete allargandosi in cerchi concentrici. Abbiamo individuato il punto di fuga di internet, e ci stiamo correndo incontro.

 

Lo scrive il vicepresidente esperto di strategia e innovazione di Havas Media, Tom Goodwin, su TechCrunch, in quello che ha tutti i crismi per essere considerato un manifesto sul futuro digitale che ci apprestiamo a vivere. Quando alla tecnologia accade di essere “ripensata”, scrive Goodwin, vuol dire che sta finalmente diventando parte integrante della società, e questo “sta accadendo ora nel modo in cui noi sperimentiamo internet”. Quello che era un approfondito sistema di ricerca si è lentamente evoluto in un sistema che estrae informazioni personalizzate a seconda delle nostre scelte. “Siamo passati dal surfare sulla superficie e cercare al gettare uno sguardo fugace”, spiega Goodwin, che individua in tre comportamenti distinti le “tre ère del web”.

 

La prima è quella in cui internet era usato solo come una rivista “stampata” sulla rete: si prendevano i contenuti che prima finivano su carta e si mettevano online. Giornalisti ed editori controllavano le notizie come prima, cambiava solo il supporto su cui venivano distribuite. Internet era una replica online di strutture pre digitali. La seconda èra è stata quella della barra di ricerca come porta di accesso al web. “Per la prima volta controllavamo noi, Microsoft ci chiedeva ‘Dove vuoi andare oggi?’ e il PageRank di Google era la nostra guida. Dovevamo andare a cercarci le informazioni, ma ognuno di noi poteva contribuire”. Era l’epoca del deep web, dei contenuti più o meno nascosti in strutture disordinate, ma portati alla luce dalla forza degli algoritmi di ricerca. E’ allora che navigare diventa surfare, e abbiamo cominciato a “muoverci in mezzo a ondate di informazioni, alla ricerca della giusta onda da cavalcare”. Oggi siamo ancora nella terza èra, spiega Goodwin, un ibrido tra ciò che è stato e quello che sarà: da una parte contenuti pescati da fonti “nascoste” ma raggiungibili grazie a motori di ricerca e homepage, potenziati dai social network che lavorano con gli algoritmi; dall’altra i nostri dispositivi mobili su cui scarichiamo applicazioni, che in fondo sono “micro portali” che estraggono informazioni personalizzate che ci vengono presentate in un ecosistema chiuso.

 

[**Video_box_2**]La quarta èra è introdotta dallo sviluppo tecnologico, spiega ancora l’articolo di TechCrunch: gli smartphone sono diventati la nostra porta di accesso prevalente a internet, e le app hanno cambiato il nostro modo di fruire il web. Il nuovo internet nasce da qui: presto ci si potrà connettere ovunque, e ad alta velocità, con telefoni sempre più economici e piccoli, disponibili per chiunque in tutto il mondo. Tutto sarà collegato a tutto, anche gli oggetti inanimati saranno connessi a internet, raccogliendo dati e interagendo con altri oggetti e persone. Presto saremo come i dodicenni di oggi che non capiscono la domanda: “Quante ore stai connesso online?”. Internet come lo conosciamo oggi correrà sempre più velocemente verso quel punto di fuga, per scomparire dal nostro orizzonte, passare in secondo piano e diventare il tessuto connettivo della nostra realtà. Il mondo nuovo raccontato da Goodwin su TechCrunch è già qua, a pensarci: “Per anni i media venivano distribuiti su dispositivi fisici ben precisi, in un sistema verticale e chiuso: hai guardato programmi televisivi su televisori grazie a compagnie sostenute dagli introiti degli spot televisivi, hai letto notizie sui giornali e ascoltato programmi radiofonici dalle radio. Adesso tutto è aumentato, e converge su internet”.

 

La parola canale non ha più senso, non si parla più di tv ma di video. “Gli schermi sono ancora specchi neri, ma prendono vita e diventano intelligenti”. Automobili, tablet, cornici digitali, lavagne elettroniche nelle scuole: tutto è connesso e ci consegna materiale che arriva da internet. La quarta èra del web raccontata da TechCrunch sarà quella di thinternet, un web più leggero in cui ogni cosa è legata all’altra in modo orizzontale. I contenuti saranno visti solo se rilanciati da aggregatori come Apple News, Facebook Instant o Google Now. Conoscere dati e comportamenti di chi “naviga” sarà fondamentale: il contenuto in sé rischia di essere inutile. E’ la fine dei browser. Non saremo più noi a cercare informazioni, saranno le informazioni a trovarci. Benvenuti nel nuovo mondo. Piaccia o no, è quello che ci aspetta.

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  • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.