Foto LaPresse

Crocicchi #35

Gli imprevisti positivi che stanno conducendo alla salvezza Hellas Verona e Lecce

Enrico Veronese

Il calciomercato estivo dei pugliesi e quello invernale degli scaligeri sono state scommesse vinte. I meriti di Pantaleo Corvino e Sean Sogliano

La cucina con gli avanzi, si sa, spesso rivela soddisfazioni non considerate, e per questo sorprendenti. È il comune denominatore, forse l’unico, tra il calciomercato estivo del Lecce e quello invernale dell’Hellas Verona, che stanno avendo esiti convergenti nel mantenere in Serie A le due protagoniste. Se Pantaleo Corvino aveva, come suo solito, dragato i campi marginali dell’Europa balcanica e di quella settentrionale per assicurarsi i vari Nikola Krstovic, Pontus Almqvist (a loro nome il pareggio di Cagliari), Patrick Dorgu, Ylber Ramadani, facendo risparmiare la gestione salentina e aprendola anzi a nuovi ricavi importanti, l’omologo scaligero Sean Sogliano a gennaio ha rivoltato i gialloblu come calzini. Via (tra gli altri) i demotivati Marco Faraoni, Milan Djuric, Joshua Doig; dentro gli affamati Tijjani Noslin e Fabien Centonze, la valorizzazione definitiva di Tomas Suslov, Juan Cabal, Michael Folorunsho. L’uomo mercato dei veneti ha fatto di necessità virtù, e chissà come sarebbe andato il crocicchio se le impellenze societarie, vicine al fallimento, non avessero reso urgente disfarsi di contratti onerosi per abbracciare scommesse potenzialmente a doppio taglio. Soprattutto l’attaccante olandese veste i panni di “nuovo Cyril Ngonge” e si carica sopra le spalle l’onere di portare in salvo squadra e società.

Ora Lecce e Verona sono lì, a quote più o meno rassicuranti per evitare la tonnara delle ultime tre settimane: il Sassuolo ha battuto l’Inter due volte su due, ma forse non gli basterà; Empoli e Frosinone vanno avanti con la politica dei piccoli passi, normale in settimane di stanchezza e rallentamenti, per cui il pareggio non viene disprezzato specie se tra dirette concorrenti. Predicare bel calcio, in tali frangenti, è chiedere troppo: per lustrarsi un po’ gli occhi occorre rivolgersi là dove l’aria di classifica è più salubre. Il Genoa, ad esempio, senza assilli di permanenza né velleità da Europa minore, sta giocando il miglior calcio del periodo, sia in casa che in trasferta: segnare tre goal al Milan a San Siro non è da tutte, e la compagine di Alberto Gilardino ha mostrato tutta la propria efficacia, restituendo autostima a Mateo Retegui e trovandosi capace anche di sopperire alla rinuncia forzata ad Albert Gudmundsson. Il tutto sotto gli occhi rossoneri, pronti a darsi alla ciclica rivoluzione della panchina: per più di qualcuno poteva essere l’ultima gara in casa, prima della cessione. Di certo saluterà - alla sua maniera ovviamente - Olivier Giroud, un signore e un atleta di cui il Milan e il calcio italiano sentiranno la mancanza, non solo in zona gol.

La performance del centravanti francese non ha però saputo frenare le contestazioni dagli spalti, gli striscioni polemici, il silenzio dei primi minuti: vale anche per la Lazio, tenuta sulle corde dai propri sostenitori a fine partita per il probabile mancato accesso alla Champions League. Igor Tudor sa di non avere la bacchetta magica né di riuscire a risolvere più di un problema per volta, tuttavia gli viene in soccorso Daichi Kamada che forse ha trovato solo ora in quest’annata il proprio ubi consistam. Sono calciatori eclettici, impostati da centrocampisti ma con l’applicazione a vestirsi da trequarti, o esterni a tutta fascia che in emergenza sanno inopinatamente coprire da braccetti (l’Empoli vanta il record). Ne è emblema Matteo Pessina, che ultimamente avanza una nuova candidatura alla spedizione europea della Nazionale: il capitano del Monza segna e fa segnare, calcia bene i rigori e anche stavolta potrebbero non vederlo arrivare. Ecco, un nome come il suo - benché non altisonante, in una congerie di stelline straniere - sarebbe servito non poco al Diavolo. Sempre perché chi sta senza pensieri gioca come sa, evitando i tipici errori di misura di una calda fine stagione che sta regalando alle telecronache l’abuso del verbo “sverniciare”, vocabolo sportivo dell’anno, il quale ben poca cura ha del rispetto dovuto ai vinti. Il clima, d’altronde, è quello che è.

Di più su questi argomenti: