Mario Pasalic esulta dopo aver segnato contro la Lazio (foto Ansa)

Olive #23

Il tempismo di Mario Pasalic

Giovanni Battistuzzi

Se in campo il croato ha avuto sempre l’abilità di farsi trovare al posto giusto nel momento giusto, grazie alla sua straordinaria abilità di leggere l’azione, per anni non è riuscito a espanderla fuori dal terreno di gioco. Poi per fortuna arrivò l'Atalanta

A José Mourinho bastarono pochi allenamenti per dire che “bravo era bravo, ma gli servono chili, velocità ed esperienza”. E così Mario Pasalic, dopo essere arrivato a inizio luglio a Londra, sponda Chelsea, si ritrovò a fine luglio già altrove, in Spagna, a Elche, all’Elche Club de Fútbol. 

Doveva essere un parcheggio temporaneo, finì che la maglia del Chelsea non la indossò mai. Perché a volte non conta quanto uno è bravo o quanto sa dare in campo, ma soltanto il tempismo. E se Mario Pasalic su un terreno di gioco dimostra anno dopo anno di avere un tempismo perfetto, addirittura invidiabile, sia quando difende che soprattutto quando attacca, non va allo stesso modo fuori dal campo. Ma in questo caso non lo si può incolpare di nulla. 

Mario Pasalic in Spagna giocò bene, chiuse la stagione con 35 presenze e tre gol, soprattutto dando l’impressione che potesse diventare, col tempo, perfetto nel centrocampo dell’allenatore portoghese. Perché nella mediana di José Mourinho c’è sempre posto di giocatori capaci di recuperare molti palloni e poi muoversi in avanti per sfruttare gli inserimenti in profondità. E in questo Mario Pasalic ha sempre dimostrato di saperci fare. 

Tra le intenzioni e la realtà però spesso si mette di mezzo il mercato. E nell’estate del 2015 il Chelsea acquistò Radamel Falcao dal Monaco e nel Principato, un altro portoghese, Leonardo Jardim, considerò che uno come il croato poteva fare al caso suo per le stesse ragioni che stavano convincendo Mou a tenerselo. 

Non andò del tutto come doveva andare. Mario Pasalic si ambientò bene, giocò per diversi mesi alla grande, poi si infortunò e si dimenticarono di lui a tal punto che non venne nemmeno preso in considerazione l'iDEA di riscattarlo. 

Al Chelsea intanto Mourinho non c’era più, Antonio Conte aveva altri piani e Mario Pasalic finì al Milan. E se c’era un posto dove non stare in quegli anni era proprio nella Milano rossonera a conduzione cinese.  

Perché quello era un Milan che superava l’epoca berlusconiana colmo di giocatori di non eccelso livello e nostalgia da alta classifica. Una Milano che desiderava ritornare protagonista e che aveva bisogno di un giocatore capace di riaccendere l’entusiasmo. Non certo di un giocatore come lui. Perché Mario Pasalic non è un calciatore che abbaglia quando è in campo, non ha il dribbling raffinato né il colpo strabuzza occhi del campione. Eppure in giro, all’epoca come oggi, non sono tanti i giocatori solidi, disciplinati e capaci di sfruttare la profondità come Mario Pasalic. 

Se in campo Mario Pasalic ha avuto sempre l’abilità di farsi trovare al posto giusto nel momento giusto, grazie alla sua straordinaria abilità di leggere l’azione, per anni non è riuscito a espanderla fuori dal terreno di gioco. 

E così ha vagato per l’Europa e vagando per l’Europa al Chelsea si erano dimenticati di lui. Tanto che quando si presentò al centro sportivo per il raduno prima della stagione 2018-2019 si narra che Maurizio Sarri, che aveva preso il posto di Antonio Conte, chiese: “E lui chi è?”. 

Di lui, Mario Pasalic, invece si ricordava benissimo Giovanni Sartori, all’epoca responsabile dell’area tecnica dell’Atalanta. E lo portò a Bergamo con un milione, per il prestito, e altri cinque per il riscatto eventuale. E quando Gian Piero Gasperini gli chiese cosa me ne faccio, Sartori rispose di non preoccuparsi che era il giocatore giusto per lui. 

Lo divenne davvero. 

Lo è stato per anni dal primo minuto, lo è ancora adesso che da titolare si è evoluto in subentrante, ossia in uomo capace di far svoltare la partita partendo dalla panchina. 

All’Atalanta Mario Pasalic è riuscito a farsi ricordare a suon di palloni e spazi conquistati, sommando uno dopo l’altra verticalizzazioni su verticalizzazioni, seducendo e conquistando pezzi di prato ignorati dagli altri. 

   


   

Anche quest'anno c'è Olive, la rubrica di Giovanni Battistuzzi sui (non per forza) protagonisti della Serie A. Piccoli ritratti, non denocciolati, da leggere all'aperitivo. La prima giornata è stato il momento di Jens Cajuste (Napoli). Il secondo appuntamento è stato dedicato a Luis Alberto (Lazio); nella terza giornata vi ha tenuto compagnia Ruggiero Montenegro con Federico Chiesa (Juventus); nella quarta è stato il turno di Andrea Colpani (Monza); nella quinta di Romelu Lukaku (Roma); nella sesta è sceso in campo Yacine Adli (Milan); la settima puntata è stato il momento di Albert Gudmundsson (Genoa); nell'ottava di Giacomo Bonaventura (Fiorentina); la nona ha visto scendere in campo Zito Luvumbu (Cagliari); la decima Matias Soulé (Frosinone); e nell'undicesima Riccardo Calafiori (Bologna); la dodicesima invece è stato il momento delle parate di Etrit Berisha (Empoli); la tredicesima è stata l'occasione per conoscere meglio Jeremy Toljan (Sassuolo); la quattordicesima ha visto segnare Lorenzo Lucca (Udinese), la quindicesima invece ha raccontato la crescita di Joshua Zirkzee (Bologna); nella sedicesima ha vestito la maglia di Olive Lautaro Martinez (Inter); nella diciassettesima si corso su e giù sulla fascia con Pasquale Mazzocchi (Salernitana); nella diciottesima è stato il momento di Matteo Ruggeri (Atalanta); nella diciannovesima quello di Ivan Ilic (Torino); nella ventesima abbiamo seguito le azioni di Sandi Lovric (Udinese); nella ventunesima le parate di Mike Maignan (Milan); nella ventiduesima i gol (che arriveranno) di Tijjani Noslin (Hellas Verona). Trovate tutti gli articoli qui.