Il Foglio sportivo

Jannik Sinner, campione dalle parole semplici

Giorgia Mecca

"Spero di arrivare in finale con il sorriso" ha detto il campione altoatesino ai microfoni dopo la vittoria più importante della sua carriera. Happy Sinner nell’Happy Slam: la vittoria, le fossette, la gioia di un bambino e l’autorevolezza di chi è in quel campo per rimanerci

"È come fare la pasta. All’inizio ti viene scotta, poi manca il sale, sbagli gli ingredienti. Alla fine però impari". Un piatto di spaghetti. È questa la ricetta per conquistare la finale di un torneo del Grande Slam. Come se fosse la cosa più facile del mondo. Jannik Sinner, 22 anni da San Candido, è una profezia che si auto avvera. All’alba di un venerdì mattina di fine gennaio, con due paia di fossette degne dei sorrisi migliori è venuto a svegliarci per farci sapere di avere battuto il numero uno del mondo, Novak Djokovic, che a Melbourne non perdeva da 2.195 giorni. "Buongiorno" ha scritto sulla telecamera, per salutare l’Italia che lo stava guardando e anche i suoi genitori, che non c’erano e non ci saranno nemmeno domani in finale contro Daniil Medvedev, quando potrà diventare il primo italiano a vincere il major made in Australia, nonché il primo azzurro a conquistarne uno dai tempi di Adriano Panatta, Roland Garros 1976

 

 

Ha avuto bisogno di parecchie dolorose sconfitte, che allora sembravano sconfitte e basta, ma ora non più, ora si sa che lo stavano semplicemente preparando a giorni come questo, ha avuto bisogno di spegnere il telefono, dimenticarsi del social, la vita dei comuni mortali meno talentuosi e con meno dedizione di lui, ha avuto soprattutto bisogno di farsi torturare decine di volte dalla paura, dai crampi, da quelle richieste sconsolate rivolte a se stesso: “Gioca i tuoi colpi”. Non facile quando il cuore non batte come dovrebbe
 

Gli abbiamo chiesto troppo e lo volevamo subito. Lui per fortuna ha smesso di darci retta, si è scelto un team che lo coccola, lo fa ridere, lo prende in giro, gli fa vincere le scommesse a carte (rigorosamente a soldi, circa 5 o 10 euro a puntata), lui ha deciso di ascoltare solo loro, parla quando deve, non teme i mostri sacri anche perché forse ha capito di farne parte, e non ha timore reverenziale nel rivolgersi al passato e dire: “Io devo pensare alla mia storia”.
 

Lo scorso anno, più o meno in questo periodo, i grandi sembravano vicini, ma difficilmente raggiungibili. La svolta è arrivata dopo la sconfitta al secondo turno al Roland Garros contro un semisconosciuto. Allora dubbi su dubbi, chi ama criticare lo critica paragonandolo ad Alcaraz (allora in rampa di lancio): “Trova le differenze”. Darren Cahill e Simone Vagnozzi, supercoach entrambi, gli dicono un giorno: “Ma cosa c’è che non va? Di cosa ti lamenti? A casa tua stanno tutti bene”. Lui ci ha pensato qualche giorno: “In effetti è vero. A casa mia stanno tutti bene”. 
 

Il numero 4 al mondo usa sempre parole semplici per raccontare cosa c’è dietro la testa di un ventiduenne che sta diventando un campione. “Spero di arrivare in finale con il sorriso” ha detto ai microfoni dopo la vittoria più importante della sua carriera. Happy Sinner nell’Happy Slam. Dalle Atp Finals dopo ogni vittoria ha scelto di fare la stessa esultanza: i piedi ben piantati per terra, lo sguardo sornione rivolto al suo box, quel sorriso che dice: “lo sapevamo, ce lo meritiamo”, la gioia di un bambino e l’autorevolezza di chi è in quel campo per rimanerci. È come fare la pasta, una volta che impari, non te lo dimentichi.