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Crocicchi #21

L'attimo esatto nel quale Stefano Pioli ha evitato lo sprofondo

Enrico Veronese

Sabato sera contro l'Udinese il Milan ha rischiato un'altra scivolata dentro i propri incubi. Questa volta l'allenatore ha dato fiducia a chi è arrivato quest'estate. Questa volta ha funzionato

Steven Patrick Morrissey, il cantante e autore degli Smiths, nel loro più grande successo “Bigmouth strikes again” sosteneva di conoscere come si potesse sentire Giovanna d’Arco sulla pira. Allo stesso modo, sabato sera allo stadio di Udine, Stefano Pioli non poteva non avvertire le medesime vibrazioni che José Mourinho aveva provato durante Sassuolo-Roma, prima che il subentrante Rasmus Kristensen gli togliesse le castagne dal fuoco: preventivava le dichiarazioni da rilasciare ai media, il serrato confronto con la società, una via di uscita concordata, i bagagli da Milanello.

Nel mezzo, lo psicodramma attorno a Mike Maignan, bersagliato dagli ululati e clamorosamente deciso ad abbandonare la partita: i lanci di pietre e snack rigidi contro Mateo Retegui a Salerno stanno avendo di certo minore eco. Tuttavia, convinto a rientrare, il portiere del Milan non è stato poi così reattivo davanti al bel sinistro di Lazar Samardžić, potendo solo assistere (forse?) alla frittata condivisa tra Theo Hernández e Tijjani Reijnders per il raddoppio di Florian Thauvin. In quel momento, Stefano Pioli si è voltato indietro. Ha visto in un secondo i suoi anni rossoneri culminati nello scudetto, la sfortunata semifinale di Champions League, il ritorno all’orgoglio dopo anni bui e illusioni fatue. Ma voltandosi indietro ha incontrato con lo sguardo anche la sua panchina, gli atleti che vi stavano seduti, il mercato interessante operato la scorsa estate: e ha scelto. Dentro Luka Jović, che magari non sarà mai un campione ma qualche segnale l’ha dato, e Noah Okafor, il quale ogni volta deve dimostrare che in questo attacco, e in questa rosa, non è certo un intruso. Ci pensassero loro, assieme all’acqua alla gola e al tradizionale arruffarsi di chi sta sotto mentre il tempo scorre: e così hanno fatto, consapevoli che Pioli avrebbe meritato meno di Mourinho l’inevitabile esonero.

Un po’ per il gioco comunque mai venuto meno del tutto, un po’ appunto per i tanti elementi nuovi da inserire: parametri che, escludendo la finale di Conference League vinta a Tirana, Mourinho non poteva vantare. Salvo appunto mettersi in primo piano a fare da parafulmine: "Spòstati, e fammi vedere la partita", gli avrebbe detto Mario Monicelli.

Soprattutto, a San Siro il terzo posto con vista Champions è ancora blindato, e sai mai cosa può accadere davanti… Addio fantasmi dunque, almeno per un po’: ma in molti, durante il match, non potevano pensare che la sconfitta in via di maturazione avrebbe segnato il capolinea anticipato dell’era Pioli, con inevitabile traghettamento e ponti d’oro ad Antonio Conte per la prossima stagione. Non è detto non andrà così, ma per ora l’allenatore parmigiano merita quantomeno di concludere la stagione in panchina, sperando in meno crocicchi e in una strada non dissestata verso l’obiettivo minimo, dopo che pure la Coppa Italia se n’è andata tra le polemiche arbitrali.

E non solo quelle: contro l’Atalanta, qualcuno si è preso la briga di ricordare al mister che uno come Charles de Ketelaere sta rendendo di più quando è stato portato più vicino alla porta, praticamente da punta, né ala né trequartista soffocato in fazzoletti di spazio, sempre avendo qualcuno davanti o in mezzo. Lo stesso che vale, a Torino, per Federico Chiesa dopo la decisione estiva di Massimiliano Allegri.

Non c’è bookmaker oggi che, nelle more dei recuperi di giornata causa Supercoppa (e Inter-Atalanta non sarà certo una passeggiata), non stia acquisendo crescenti comande relative al sorpasso bianconero. Al momento, Dušan Vlahović è più efficace almeno di Marcus Thuram, e in panchina – vedi sopra – i cambi juventini sono all’altezza. Ciò non la rende la favorita d’obbligo, ruolo che per roster ed esperienza ricade interamente sull’Inter: però ora la “guardia” è chiamata a vestire i panni del ladro, almeno fino all’insidioso rendez-vous con gli uomini di Gian Piero Gasperini.

Il mercato intanto impazza: si fa per dire. Con diversioni poco spiegabili razionalmente: Alessio Zerbin ce la mette tutta per rimanere al Napoli, in Arabia segna anche dopo una lunga corsa verso la porta, in diagonale come si faceva da bambini, ma la doppietta decisiva non basta a consentirgli di giocarsi le proprie carte con un allenatore che ha dimostrato finalmente di vederlo. A Monza dovrà cambiare impostazione e schema, per soli quattro mesi prima del rientro alla base: vale la pena?

A proposito di Supercoppa: meno male che la reazione mediatica italiana contro la scelta di spezzare il campionato (altro che Charity Shield a una settimana dal via ferragostano), di estenderla a quattro squadre – perché? – e di disputarla per l’ennesima volta in una nazione ormai satura di calcio vip e del tutto indifferente sugli spalti è stata come minimo controproducente, anzi dannosa. Chissà se la Lega Calcio prenderà atto, e si comporterà di conseguenza.

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